A cosa serve Internet alla politica?

La settimana scorsa a Roma sono andato pesantemente fuori tema. Penso che l’incontro fosse stato organizzato perché, con l’aiuto di esperti e il commento di politici locali, i partiti italiani potessero ispirarsi al meglio e, finalmente, conquistare gli spiriti ribelli utilizzando i nuovi strumenti della rete. Sì, ci sono stati anche interventi che analizzavano come il Partito Democratico USA, avendo nominato Obama, fosse stato da questo portato alla vittoria abbracciando uno spettro molto ampio di mezzi interattivi online. Hmm… non il mio intervento.

Ritengo infatti che sarebbe alquanto ironico se, come primo utilizzo concreto e moderno del mezzo di internet come lo intendiamo oggi–strumento dinamico e interattivo–fosse ridotto e assoggettato alla strumentalizzazione partitica. Per primo le persone che governano devono utilizzare internet per il buon governo. Un governo trasparente, efficente e partecipativo, a tutti i livelli. Solo così si potranno poi permettere di usare questi stessi strumenti per organizzare le proprie campagne elettorali.

Ho fatto alcuni esempi di come, secondo me, la mentalità stessa che ispira un comportamento aperto verso Internet non sia presente nella classe politica attuale.

La trasparenza e l”accountability’–cioè la pronta responsabilità verso coloro che li hanno eletti–che caratterizza gli USA e altre democrazie, viene fortemente facilitata dalla legislazione FOIA (Freedom Of Information Act) che obbliga le amministrazioni a rispondere prontamente alle richieste di informazioni dei cittadini sul loro funzionamento. Uno studio olandese recente ha comparato queste legislazioni di 86 paesi. L’Italia viene raggruppato con il Nepal in un gruppo dove questa legge funziona male. Se negli USA ci sono un milione e mezzo di domande FOIA all’anno, in Italia lo studio stima che ce ne siano meno di cinquanta. La ragione è che in Italia la richiesta deve essere accompagnata da una spiegazione sul perché si sta chiedendo l’informazione. Se l’amministrazione ritiene queste spiegazioni insufficienti, allora potrà negare la risposta. Sorprende che questo sia il caso spesso, troppo spesso?

Un altro esempio è relativo alla libertà dei dati pubblici. Negli USA ogni contenuto testuale, musicale, di video, immagini, database o altro prodotto dall’amministrazione federale non gode di protezione di diritto d’autore. E’ automaticamente e definitivamente nel pubblico dominio.  Ad eccezione di ragioni superiori di privacy o di sicurezza vi si può accedere e lo si può utilizzare per un qualunque scopo, anche commerciale, senza dover chiedere niente a nessuno.

Avendo qualche minuto prima dell’incontro ho comprato il regolamento della Camera dei Deputati presso l’Ufficio Pubblicazioni, trovandovi apposta la scritta “Copyright 2007, Camera dei Deputati”. Chiamando per chiarimenti, mi è stato confermato dall’Avvocatura dello Stato che ogni copia, con o senza scopo di lucro, deve essere richiesta e autorizzata per iscritto dalla Camera. Nel caso non ci sia profitto questa verrà senz’altro concessa, mentre verrà valutata nel caso di un utilizzo commerciale. Hmm… tutte le copie. Quindi, siccome la versione elettronica del regolamento della Camera dei Deputati, protetta dal copyright, è disponibile sul sito della Camera, il suo scaricamento viola la legge Urbani. La Camera dei Deputati induce in un reato penale i cittadini che vogliono informarsi sul suo funzionamento. Questo è un esempio estremo di che cosa può comportare l’imposizione fuori luogo di protezioni, su documenti che le tasse dei cittadini hanno già pagato. Inoltre, a mio avviso, se c’è del lucro allora è tanto meglio! Non sta ad un gruppo governativo qualunque decidere se un’idea imprenditoriale è valida o meno, ma ci penserà il mercato. Spero che la soluzione, più generale possibile, non sia quello di non rendere semplicemente disponibile più lo scaricamento della versione elettronica dei documenti come il regolamento della camera. La cosa più giusta sarebbe quello di dotarli di una licenza Creative Commons Attribution! Palmieri, partecipante anche lui al convegno, ha promesso che se gli scrivevo ne avrebbe parlato al vicepresidente della Camera Lupi, per risolvere la cosa. Adesso gli scrivo e poi vediamo cosa succede.

L’ultimo esempio è venuto dall’indagine di Eurostat (pdf), in base alla quale l’Italia è unica tra 30 nazioni Europee dove la penetrazione Internet tra le famiglie è diminuita tra il 2007 e il 2008. Penso che almeno in parte il continuo martellamento di quanto sia dannoso lo strumento e l’effettiva mancanza di molti siti utili comuni all’estero sia la causa di questa situazione angosciante.

Prima del mio intervento mi è stato anche chiesto cosa pensassi in generale della possibilità di regolamentare internet. Ho risposto che chi non conosce e non usa il mezzo non è abilitato a legiferare su di esso. Mi è stato obiettato che allora i politici non potrebbero fare nessuna legge, non essendo esperti di tutti i campi. Ma non è così. Ci sono stati politici che si sono vantati in campagna elettorale di non usare il computer e non conoscere internet. E’ come se all’inizio del ‘900 un candidato fosse stato fiero di non sapere leggere e scrivere.

Ho chiesto poi che alzassero la mano i terroristi e i pedofili in aula. Non ce n’erano. Ho paragonato questo alla legge Pisanu, che ha garantito che l’Italia sia agli ultimi posti nella diffusione wifi in Europa. Quante persone sono state arrestate perché si sono identificate come criminali all’accesso ad un Internet Point? Non lo sappiamo. Sarei molto sorpreso se ce ne fossero: dovrebbero essere sufficentemente stupidi per commettere errori grossolani in tanti ambiti anche diversi e venire quindi arrestati velocemente.

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