Il blog transumanista Estropico ha pubblicato una mia intervista sulla Singolarità Tecnologica. Le domande erano stimolanti e spero di aver dato risposte che potessero esserlo altrettanto.
Domanda:
“Molti lettori di Estropico sono affascinati dall’idea dell’immortalità fisica (o quantomeno di aspettative di vita illimitate). Pensi che tale obiettivo sia solo raggiungibile post-singolarità? Ampliando la domanda: è solo grazie a sistemi di intelligenza artificiale in grado di automodificarsi e autopotenziarsi (e quindi non direttamente in nostro controllo) che possiamo aspirare alla postumanità?”
Risposta:
“Le cause di morte prevalenti oggi nelle società occidentali sono quelle legate ai processi di invecchiamento. Sono d’accordo con i fondatori del programma SENS che ritengono che questi processi non siano desiderabili e lavorano affinché vengano uno ad uno eliminati. Il successo di questo programma porterà ad una vita media radicalmente più lunga di oggi (naturalmente ci vorrà parecchio tempo perché siamo in grado di verificare se un essere umano vivrà fino a 1000 anni per esempio: ci vorranno 1000 anni, appunto!). Per questo tipo di cambiamento biologico non è necessario raggiungere la singolarità tecnologica.
Quando penso però all’immortalità non intendo un periodo così breve come sono 1000 anni, ma penso piuttosto miliardi di anni, o meglio ancora miliardi di miliardi di anni. A questo punto penso che sia evidente, messo semplicemente a fuoco dall’enormità dei numeri citati, che questo tipo di immortalità radicale non sia funzione di quello che definiamo il limite del possibile funzionamento del corpo umano. Quello che dobbiamo chiederci è il significato di identità in quell’enorme insieme di ambienti possibili che le variabili dell’universo fisico nell’arco di un tempo così lungo possono produrre. Ritengo che da questo punto di vista non si possa parlare di immortalità: le entità che si guardassero dai due estremi di un arco temporale così lungo non potrebbero ritenersi rappresentativi di uno stesso singolo individuo.
Dal mio punto di vista è bene che cominciamo ragionare sull’opportunità di applicare un filtro inclusivo alla definizione di umanità. Sarà nostro interesse fare così! Nel momento in cui le entità postumane lo ritenessero avranno gradi di libertà sufficienti per realizzare anche in pratica modelli di comportamento paralleli ed alternativi ai nostri. Finché non lo vorranno e quindi condivideranno con gli umani tradizionali gli spazi fisici, ne andrà a beneficio di questi secondi.”
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