Le sfide dei sindacati tra AI e robot umanoidi

Qualche giorno fa un avuto una conversazione online con Enrico Coppotelli della CISL Lazio, esplorando le sfide contemporanee che i sindacati affrontano nell’era dell’Intelligenza Artificiale e dei robot umanoidi. Analizziamo le implicazioni dell’automazione avanzata sul lavoro, le trasformazioni del mercato del lavoro e le nuove competenze richieste. La conversazione si focalizza anche su come i sindacati possono rimanere rilevanti e influenti, garantendo diritti e protezioni ai lavoratori in un contesto tecnologicamente evoluto. Esaminiamo le opportunità e i rischi della tecnologia emergente, riflettendo su strategie innovative per una collaborazione produttiva tra tecnologia e forza lavoro.

Quali sono le principali sfide che i sindacati affrontano nell’era dell’Intelligenza Artificiale?
In che modo l’automazione avanzata sta trasformando il mercato del lavoro?
Quali nuove competenze sono richieste ai lavoratori per adattarsi ai cambiamenti tecnologici?
Come possono i sindacati rimanere rilevanti e influenti in un contesto tecnologicamente evoluto?
Quali strategie possono adottare i sindacati per garantire diritti e protezioni ai lavoratori in un’epoca di crescente automazione?
Quali opportunità offrono l’Intelligenza Artificiale e i robot umanoidi per migliorare le condizioni di lavoro?
Come possiamo bilanciare l’adozione di nuove tecnologie con la necessità di proteggere i posti di lavoro esistenti?
Quali sono i rischi principali associati all’implementazione dell’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro?
In che modo i sindacati possono collaborare con le aziende tecnologiche per promuovere una transizione equa verso un futuro automatizzato?
Quali esempi di successo esistono di sindacati che hanno gestito efficacemente l’introduzione di nuove tecnologie nel loro settore?

Trascrizione rielaborata

David: Benvenuti! Parleremo di tecnologia, però come piace a me, non solo di tecnologia fine a se stessa, ma cercando di capire quali sono le implicazioni sulla vita delle persone e sulla società stessa, sulle nostre comunità. In particolare, molte persone stanno prevedendo, ma molte di più magari non se ne rendono nemmeno ancora conto, che intelligenza artificiale e robot umanoidi avranno un impatto dirompente sul nostro modo di lavorare o sullo stesso concetto di lavoro. Molte persone si definiscono in termini del loro valore a se stessi e alla società in relazione al loro lavoro, alla produzione economica. Che cosa succederà a queste persone nel momento in cui dovranno accogliere una nuova sfida importante di come ridefinire la loro vita? Ma anche in modo più semplice, che cosa succederà ai rapporti di lavoro tra aziende e lavoratori, impiegati, operai, nel momento in cui funzioni che oggi sono svolte da esseri umani verranno svolte in modo più efficace, quasi completamente automatico, se non del tutto automatico, da intelligenza artificiale, software o robot, intelligenza artificiale, hardware? 

Il mio ospite oggi è un sindacalista e l’ho invitato proprio perché i sindacati sono stati l’organizzazione che ha avuto, attraverso delle lotte importanti, partite un secolo fa e continuate in modo dinamico, quelle che hanno affrontato questa sfida in cambiamenti importanti del passato. Perché la società e l’economia cent’anni fa erano molto diverse da come sono oggi e il nostro modo di affrontare quindi le opportunità che la società ci offriva erano diversi a loro volta. Queste trasformazioni sono state analizzate e negoziate anche attraverso gli sforzi dei sindacati. Quindi adesso io do il benvenuto al mio ospite Enrico Copotelli che è un sindacalista, il Presidente, Segretario Generale, del CISL Lazio. Enrico, benvenuto.

Enrico: Grazie.

David: Ti trovi in una bellissima aula giustamente presidenziale con un supporto tecnologico ottimo. Partiamo quindi da dove ti trovi, che cos’è il tuo ruolo e il ruolo della tua organizzazione, della CISL.

Enrico: Mi trovo in questa sala che è la sala della nostra organizzazione sindacale della CISL di Roma e del Lazio. Voi immaginate la capitale d’Italia, siamo all’interno di questa nostra sede, tra l’altro un’aula da poco modernizzata attraverso i sistemi informatici che stiamo utilizzando oggi, quindi ci danno una prospettiva sicuramente molto importante. Però è un’aula che rappresenta dei temi del lavoro di qualche anno fa. 

Noi abbiamo voluto far raffrescare da alcuni ragazzi di un istituto artistico di Roma questa sala con dei temi che richiamino il lavoro di ieri e il lavoro di oggi, perché vogliamo che il sindacato non sia soltanto racconto del passato, ma che possa essere soprattutto, con gli occhi dei lavoratori del futuro, un momento importante non solo di confronto ma anche di gestione del cambiamento. Credo che oggi non passi soltanto l’analisi del contesto, ma anche capire come organizzazioni di rappresentanza, come la CISL, possano guidare il cambiamento.

Negli anni le organizzazioni sindacali molto spesso si sono limitate ad individuare un problema ma senza poi porre una soluzione. La loro evoluzione futura è stata analizzare un problema ma senza proporre una soluzione. Io credo che oggi questo slogan di guidare il cambiamento può porre le organizzazioni di rappresentanza collettiva come i sindacati di poter accompagnare le migliori condizioni possibili in un mondo che, come diceva lei prima, tenderà a cambiare moltissimo nei prossimi anni, soprattutto come le nuove tecnologie impatteranno sul mondo del lavoro e miglioreranno la qualità della vita dei lavoratori.

Il dibattito di erno è più che altro su come le nuove tecnologie agiranno come effetto sostituzione. Ma pochi parlano di come invece le nuove tecnologie potranno migliorare la qualità del lavoro e dei lavoratori. Quindi noi vorremmo porci anche questa nuova visione di comprendere il fenomeno e soprattutto guidarlo.

David: Come sei arrivato a fare il sindacalista e che cosa fa un sindacalista tutto il giorno?

Enrico: Allora io ho iniziato la mia esperienza nel sindacato CISL attraverso un’attività di volontariato. Avevo del tempo libero, potevo scegliere se aiutare le persone magari in difficoltà nelle diverse attività di volontariato che ognuno di noi nobilmente può decidere o decidere di non fare. Il settore che mi interessava molto era quello dei lavoratori precari, ovvero di lavoratori che avevano meno tutele rispetto agli altri lavoratori standard.

In Italia c’è tutto un dibattito sul fatto che il sindacato rappresenti soltanto i lavoratori protetti, i lavoratori più tutelati, i lavoratori che hanno delle profonde garanzie. Il tema invece del lavoratore precario che doveva arrabattarsi ogni mese per riuscire ad avere la proroga del contratto, addirittura con un inquadramento che non era neanche, insomma molti anni fa in Italia, normato perché i contratti di collaborazione a progetto sicuramente molti telespettatori lo sanno altrettanto meglio, non avevano all’origine una regolazione contrattuale, non c’erano dei minimi contrattuali.

Il fatto soprattutto che la maggior parte dei lavoratori precari erano giovani mi interessava molto perché volevo provare a capire e a comprendere come poter da lavoratore precario aiutare altri lavoratori precari. Era una messa in comunicazione rispetto a un mondo del lavoro che andava rappresentato. Stiamo parlando dei primi anni 2000, quindi circa 25 anni fa. C’era una normativa ancora all’ingresso nel nostro paese, in Nord Europa si parlava di flex security, in Italia non ci siamo forse arrivati ancora neanche adesso. Quello è stato il mio approccio, ovvero voler comprendere come attraverso un’attività di volontariato poter aiutare gli altri.

David: Quindi in quel momento eri un precario anche tu e sentendo sulla tua pelle le difficoltà, le incertezze che questa categoria volevi metterti in gioco in una forma diversa, complementare. E questo magari non tutti lo sanno, non sono tantissimi i sindacalisti impiegati come tali. La maggior parte dei sindacalisti copre questo ruolo mentre fa un lavoro del tutto normale e poi fa anche il sindacalista sopra quello, giusto?

Enrico: Esatto. Infatti era una forma di rappresentanza diversa, perché voi immaginate che all’epoca, all’interno di un luogo di lavoro, l’iscrizione al sindacato era il primo motivo per il quale, non in maniera manifesta, ma in maniera non manifesta, il contratto di lavoro non veniva rinnovato. Il datore di lavoro, alcuni datori di lavoro, osteggiavano il sindacato e quindi magari il lavoratore precario che si iscriveva al sindacato non gli veniva rinnovato il contratto.

Quindi i lavoratori venivano incontrati al di fuori dell’orario di lavoro. Ero riuscito ad avere all’interno di una sede sindacale una stanza dove poter ricevere questi lavoratori e con loro iniziavamo a ragionare sui loro problemi, quali potevano essere chiaramente quello al quale loro aspiravano.

David: Stiamo parlando degli anni 2000, non degli anni ‘50…

Enrico: Gli anni 2000, assolutamente, nel nostro paese era questo. Arrivavamo ad un punto dove il precariato era tanto nel settore privato quanto nel settore pubblico. Voi immaginate uno stravolgimento completo dell’immagine dove il dipendente pubblico italiano, che notoriamente è quello molto tutelato da un certo punto di vista, anche all’interno della pubblica amministrazione si iniziavano a vedere i primi fenomeni di precariato. Lo si vedeva nel settore sanitario, lo si vedeva nel settore pubblico, negli enti locali, nei comuni, una bolla di precariato che serviva sostanzialmente nell’immaginario del datore di lavoro ad aumentare la produttività, nell’immagine invece del lavoratore ad avere una stabile precarietà, che sembra una contraddizione in termini, ma di fatto era la condizione che si viveva.

Tengo però a dire una cosa soltanto per chiudere un po’ il tutto. Dopo una prima parte di volontariato io ho fatto affiancare alla mia attività di lavoratore standard anche la prosecuzione del tempo da dedicare ai lavoratori precari. Quindi io nasco come sindacalista dei lavoratori precari, ecco per chi ci segue.

David: Diamo anche un’informazione sul ruolo dei sindacati non solo nei confronti delle aziende e dei lavoratori, ma anche nei confronti del governo, della pubblica amministrazione, la relazione, il ruolo, l’indipendenza o la codipendenza. E anche un accenno alle diverse sigle sindacali in Italia e in che cosa si differenziano.

Enrico: Allora considerate che in Italia le principali sigle sindacali sono CGL, CISL e UIL. Chiaramente la storia della CGL è una storia che viene da più lontano. Di fatto nel 1950 le due organizzazioni sindacali CISL e UIL si separano dalla CGL soprattutto per diverse correnti di pensiero.

Il sindacato che rappresento io, la CISL, ha una matrice cattolica quindi si ispira alla dottrina sociale della Chiesa in maniera magari diversa dalla CGL che tende più invece ad avere un orientamento verso un’idea di partito politico, che originariamente chiaramente era così.

Il tipo di contrattazione di cui parlavi tu prima è una contrattazione che si sviluppa a diversi livelli. Ovvero contrattazione all’interno di un luogo di lavoro per migliorare le condizioni dei lavoratori, contrattazione di livello nazionale o la contrattazione collettiva nazionale. 

Negli ultimi anni il sindacato, ma anche la CISL in primis, sta sperimentando anche la contrattazione sociale, ovvero cercare di agire soprattutto nell’interlocuzione delle istituzioni per andare a migliorare le condizioni che non siano soltanto salariali, ma anche ad esempio di tipo fiscale. 

Noi come CISL regionale del Lazio nello scorso mese di dicembre abbiamo sottoscritto un accordo con la regione Lazio soprattutto sul tema della tassazione fiscale, ovvero agire sulla tassazione locale riducendola, magari andando soprattutto a coprire gli sprechi, le inefficienze che ci possono essere per la pubblica amministrazione e destinare questi risparmi per migliorare la qualità di vita dei cittadini e delle persone.

Credo che sia anche una moderna funzione dell’organizzazione sindacale che non si limita soltanto a guardare in maniera settoriale quelle che possono essere difficoltà dei lavoratori ma agendo anche sul livello più locale e più generale.

David: In questo senso il sindacato si propone come un interlocutore, detto in modo brutale un lobbista, nei confronti del governo rappresentando gli interessi di una categoria di lavoratori o di tutti i lavoratori affinché delle politiche del lavoro, fiscali, del welfare in generale, ne proteggano gli interessi. Ed è un’evoluzione rispetto ad una visione che vede i sindacati agire soprattutto nei confronti dell’azienda e quindi stabilire contratti quadro, comprensivi nei confronti di gruppi di lavoratori con l’azienda. 

Hai giustamente menzionato come una categoria importante, emergente, e che probabilmente andrà a toccare un numero sempre maggiore di lavoratori, quello che hai chiamato precari. Era quello il termine che hai usato. Ed è un termine di per sé peggiorativo, lo si contrappone rispetto all’assunzione a tempo indeterminato con certe protezioni già acquisite decenni fa.

C’è una visione complementare che lo etichetta come lavoro flessibile. L’economia europea in generale, italiana in particolare, si ritrova una certa rigidità dove assumere, licenziare, si fa più fatica dal punto di vista degli imprenditori nel vedere le persone, le loro qualità, la loro abilità di eseguire gli obiettivi che gli vengono assegnati rispetto ai contratti che sono inflessibili. Quindi si è visto nel lavoro flessibile uno strumento che permetta alle aziende di rispondere in modo più dinamico alle richieste del mercato.

Uno dei fattori che ha permesso l’emergere in modo più importante questo, e che probabilmente aumenterà nel tempo, è rappresentato dalle piattaforme digitali che all’estero hanno un ruolo di intermediazione tra domanda di lavoro e offerta di lavoro e che in Italia hanno avuto un percorso interessante.

Per fare due esempi, Uber e le piattaforme di consegna di cibo, Deliveroo o altri che siano, si sono diffusi in un vuoto legislativo per poi avere degli importanti scontri a cui magari anche tu hai partecipato, dove la loro abilità di fare contratti al volo è venuta meno. Tu come vedi quindi questo che io ho descritto con un certo tipo di visione sia in termini di non solo diritti ma di opportunità anche dei lavoratori ed incontro tra nuove piattaforme, nuovi tipi di lavoro rispetto a quelli già riconosciuti e consolidati?

Enrico: Il fatto che in Italia si iniziasse a parlare di rider, di driver, di juicer, è accaduto sostanzialmente nel momento in cui c’è stata la pandemia da Covid-19, quando le persone non potevano recarsi nelle attività ricettive di ristorazione e quindi ordinavano il cibo da casa e avevano i rider che lo consegnavano.

Di fatto il Covid-19 io lo definisco sempre in Italia un acceleratore di processi, perché non è stato soltanto un acceleratore di processi per far comprendere all’opinione pubblica che c’erano i rider, ma è stato un acceleratore di processi ad esempio su​​​​​​​​​​​​​​​​llo smart working. In Italia noi ci siamo confrontati sullo smart working per tantissimi anni, poi è arrivata la pandemia da Covid-19 e si è attuato lo smart working, cioè le persone hanno iniziato anche a capire che si poteva lavorare da casa. Prima della pandemia il tipo di pomeriggio che stiamo passando insieme David non era così fluente, non era così contemplato, non era così frequente. La modalità di conversazione in remoto è stata accelerata con la pandemia, quindi sicuramente è stato un fenomeno nefasto però dall’altro lato io tendo sempre a dire guardiamo anche l’eredità che ci lascia una situazione.

Il mondo del lavoro, anche molto spesso il sindacato, si è accorto che c’erano dei lavoratori che venivano governati da un algoritmo e cambiava la prospettiva. Il sindacato ha sempre difeso i lavoratori nel tempo e nello spazio. Ora si è dovuto confrontare su un’altra modalità che era il lavoratore che lavorava da remoto oppure il lavoratore che aveva un algoritmo come organizzatore del proprio lavoro. 

Lì è chiaro che è venuta fuori un’emergenza nel momento in cui c’è un’emergenza ma c’è anche un’esigenza da parte dei lavoratori di essere rappresentati, di vedersi rappresentati. Il sindacato ha iniziato ad agire, la CISL ha iniziato ad agire anche e soprattutto per dare difesa a questi lavoratori. 

Noi abbiamo fatto su Roma una bella esperienza con la nostra città in questa categoria che tutela i rider. È stato aperto una stazione lavoro dove il lavoratore poteva avere a disposizione una presa elettrica per ricaricare il telefonino, una presa elettrica per ricaricare il monopattino, la bicicletta, comunque sia la possibilità di avere il proprio mezzo ricaricato e quindi sempre efficiente. Ma soprattutto David, sembrerà una ovvietà, ma aveva anche un bagno da poter utilizzare. Perché molto spesso questi lavoratori non hanno neanche la possibilità di potersi ristorare nelle fisiologiche esigenze quotidiane che magari chi vive all’interno di un luogo di lavoro standard non ha rispetto a chi invece deve passare ore e ore su una bicicletta in una strada. Quello è il soddisfacimento di un’esigenza basilare. 

Io sono convinto che quello che ho detto poc’anzi noi ce l’avevamo come idea nella nostra mente ma non era stata mai manifestata, ovvero un’esigenza ad esempio anche fisiologica da parte di una persona che fa quel tipo di lavoro.

David: È giusto che si parta dai diritti fondamentali, Se io, studente universitario, stufo di stare sui libri, voglio fare il rider e decidere se lo faccio due ore al giorno, tre ore al giorno, tre ore alla settimana, mi iscrivo su una delle piattaforme, riesco a farlo e posso farlo o è possibile farlo solo se vengo preso a tempo pieno?

Enrico: No, è possibile farlo anche con frazionamento dell’orario. Poi devo dire che in Italia c’è stato tutto un dibattito soprattutto sull’inquadramento contrattuale, è stato più che altro quello il tema, cioè quello di assimilarlo al contratto della logistica e dei trasporti, c’è anche stata una sentenza al riguardo. 

Però è chiaro che io tendo sempre a fare questo tipo di ragionamento. Quando io ero giovane… poi mi illudo di esserlo tuttora devo dire la verità però mi rendo perfettamente conto che non lo sono più. Guarda che è questione di mentalità, io arrotondo sempre e…

David: L’arrotondamento attuale è che ho 60 anni anche se non li ho ancora e poco fa ho deciso invece di avere al 60% di una presunta e ottimistica età di cent’anni a cui semmai arriverò, di avere il 6% di una fantasmagorica età di mille anni. E basta quel cambiamento di mentalità e vedi che sei giovanissimo anche tu.

Enrico: Grazie. Allora, quando ero giovane il lavoro nel call center era un lavoro molto simile a quello che oggi fanno i rider, ovvero si lavorava nei call center per cercare di poter affiancare allo studio, magari universitario, anche una parte di salario aggiuntivo per poter magari migliorare la propria qualità della vita in genere. 

Successivamente il lavoro del call center è stato delocalizzato all’estero. Oggi se noi telefoniamo una delle prime cose che ci dice l’interlocutore dall’altra parte è se questo call center lavora in Europa, lavora fuori dall’Europa o lavora in Italia. Quindi è chiaro che la delocalizzazione dei call center o molto spesso anche la trasformazione da un operatore fisico a un operatore virtuale per buona parte della conversazione è stato in grado di sostituire moltissimo gli operatori di call center. Oggi ce ne sono sempre di meno. 

Però quello era un lavoro che veniva percepito da parte del lavoratore come un lavoro temporaneo e serviva per un determinato periodo di tempo. In altre parti era il lavoro da McDonald’s. Una persona che magari lavorava da McDonald’s per un periodo determinato soltanto per migliorare la propria qualità magari della esposizione in pubblico, della lingua, eccetera, e poi cambiare lavoro.

Quindi diciamo che sono dei lavori che noi abbiamo sempre percepito come lavori temporanei. Anche il lavoratore e anche il lavoro del rider noi lo consideriamo un lavoro temporaneo che serve come trampolino di lancio verso un altro tipo di attività. 

Quindi è chiaro che le persone che si rivolgono a noi magari e attualmente sono dei rider, noi tendiamo soprattutto, e questa è l’altra innovazione che il sindacato sta avendo, quella di essere o meglio di difendere i lavoratori non più nel luogo di lavoro ma difenderli nel percorso di lavoro. Perché se oggi io dicessi a uno studente universitario che farà quel lavoro per tutta la vita, da un lato lo condannerei all’irrealtà, perché noi sappiamo che nessuno fa un lavoro per tutta la vita, tranne in rarissimi casi, ma dall’altro lato è il lavoratore che oggi vuole cercare delle sfide sempre più importanti per migliorare la propria qualità, soprattutto migliorare il proprio salario.

Genera secondo noi anche una nuova visione che il sindacato sta avendo, cioè quella della sfida sulle competenze. Perché a prescindere da quello che può essere l’ambizione di ognuno di noi, noi cerchiamo sempre di dire al lavoratore migliora la qualità delle tue competenze perché soltanto migliorando la qualità delle tue competenze puoi essere un lavoratore competitivo.

L’effetto sostituzione che molto spesso è accaduto negli anni precedenti, ad esempio le delocalizzazioni aziendali, molto spesso ci sono perché il lavoratore è replicabile. Se un lavoratore fa quel tipo di lavoro a Bangalore in India, a Taiwan, a Hong Kong o a Roma, è chiaro che l’impresa cercherà sempre di poter investire dove quel lavoro costa meno. Nel momento invece in cui noi facciamo sì che il lavoratore sia un lavoratore competitivo, ma soprattutto che quel lavoro non è replicabile altrove, abbiamo difeso il lavoratore e abbiamo fatto il nostro lavoro come sindacalisti. Se ci ponessimo soltanto come difensori strenui dello stato dell’arte e della condizione attuale, saremo poco credibili nel tempo.

David: Per i call center effettivamente la capacità di strutturare il lavoro ne ha permesso un importante efficientamento. Con l’introduzione di sistemi più sofisticati che possano entrare più nel merito delle conversazioni con gli utilizzatori dei call center, effettivamente filtra il volume delle chiamate che hanno bisogno di essere gestite da un operatore umano. 

Questo può permettere in un mercato che si espande che il numero di operatori umani rimanga costante ad un volume di chiamate che aumenta. Mentre in un mercato, in un’economia stagnante o peggio ancora, in declino, porta in proporzione ad un numero di persone necessarie per completare con successo il residuo numero di chiamate che a sua volta diminuisce. 

E come esempio, in un’economia che si sta espandendo, che è quella americana, negli ultimi vent’anni ha strabattuto tutte le economie europee, a prescindere da crisi del 2008, da Covid-19, da tutto. Quindi in un’economia in espansione San Valentino rappresenta un momento esplosivo per i call center. In particolare un operatore dominante e equivalente a quello che c’è in Italia, Interflora, in America è 1-800-Flowers, un numero verde che poi si appoggia su strutture ed operatori molto numerosi nel territorio. E nel San Valentino di quelle tre settimane o quel mese di picco, hanno assunto 3.000 persone perché hanno previsto e hanno con successo gestito il picco con un sistema di gestione delle interazioni sufficientemente sofisticato perché potesse cambiare l’indirizzo di destinazione di un ordine per un bouquet già inserito a sistema interattivamente. Quindi tu gli dicevi “sì, ho già fatto l’ordine” “qual è il numero d’ordine?” “questo è il numero d’ordine” “qual è il problema?” “voglio cambiare l’indirizzo di destinazione” “attualmente ho questo indirizzo, non è quello giusto?” “no” “qual è il nuovo indirizzo?” “questo è il nuovo indirizzo” “ah, perfetto, l’ho inserito”. Quindi in una maniera che va molto oltre a quello che i chatbot stupidissimi a cui siamo abituati sono in grado di fare.

Il secondo esempio molto interessante che hai fatto è quello dei fast food dove molto recentemente ma universalmente sono diffusi gli schermi per le ordinazioni. E non ho in mano i numeri, magari tu li hai, ma il personale oggi presente praticamente è esclusivamente di preparazione e c’è una persona che consegna. E anche se c’è l’opzione di andare ad ordinare o pagare alla cassa, io per quelle poche volte che vado nei fast food non vedo nessuno che lo fa, tutti tranquillamente usano il touchscreen e quindi è risultato effettivamente un cambiamento importante rispetto a come le persone all’interno di quegli stabilimenti vengono impiegate.

Facciamo un passo oltre e immaginiamo quindi che un numero molto più elevato di funzioni possono essere svolte con una supervisione umana che oggi verrebbe inquadrata in una funzione manageriale. Cioè un impiegato o un operaio per definizione proprio contrattuale è una persona a cui viene detto che cosa deve fare al punto che se non sbaglio nel momento in cui un operaio o un impiegato ha troppa libertà nel definire che cosa può fare può fare causa all’azienda e farsi inquadrare come quadro o quello che deve essere corrispondente a quel grado di libertà di cui può godere.

E quindi mi chiedo, facciamo un esercizio di fanta-economia. Per come conosci tu le aziende italiane e la dinamica dell’economia italiana, tra le due possibilità: uno, approfittando di questa nuova efficienza, le aziende italiane mirino a espandersi conquistando nuovi mercati, aumentando la domanda o soddisfacendo una nuova domanda che nasce, oppure le aziende italiane decidano di approfittare della nuova efficienza per diminuire il numero di persone impiegate.

Enrico: Allora è un tema, un dibattito sul quale noi ci stiamo confrontando moltissimo con le università, con studiosi e scienziati del sociale, con quello che sta già avvenendo all’interno dei luoghi di lavoro. 

Noi ad esempio stiamo vivendo una situazione nella nostra regione ma che è un po’ lo specchio del paese, ad esempio su una tipologia di lavoratori che è sempre stata considerata molto protetta e soprattutto ad alto reddito, che sono i lavoratori bancari. Voi immaginate che c’è un tema che noi stiamo cavalcando moltissimo che è quello purtroppo della desertificazione bancaria. Ovvero il fatto che oggi si possa tranquillamente agire tramite un banking per qualsiasi tipo di operazione anche dal semplice pagamento di bollette, tasse, qualsiasi tipo di esigenza che si può avere. Questo da un lato è vero che sta migliorando moltissimo la qualità delle persone che si muovono sempre di meno per poter raggiungere lo sportello bancario, la banca in generale. Dall’altro lato però sta generando una nuova disoccupazione che è quella dei lavoratori bancari e su questo ancora non riusciamo a trovare una soluzione. Perché non c’è turnover, ovvero tra lavoratori che vanno via e lavoratori che cominciano quel tipo di attività c’è un saldo negativo. Quindi noi ci troveremo sempre meno lavoratori bancari allo sportello e sempre più lavoratori che decidono di fare un altro tipo di attività. Perché di fatto le banche stanno abbandonando i territori. 

Dall’altro lato invece abbiamo un altro modello che è quello di Poste Italiane. È un tipo di servizio che sta colmando quella parte di lavoro che non fanno più le banche ma si stanno territorializzando sempre di più. Quindi da un lato abbiamo le banche che abbandonano i territori ed altri soggetti che erogano servizi che li stanno invece colonizzando.

Questo è un esempio di come i lavoratori entrano all’interno di un circuito e soprattutto da un punto di vista mentale arrivano al concetto che il loro lavoro rischia di essere un lavoro finito, di essere un lavoro a termine, di essere un lavoro che può essere sostituito.

Per rispondere anche alla tua domanda, è chiaro che le imprese per cercare di efficientare sempre di più la richiesta di beni e servizi stanno agendo moltissimo sul tema dell’automazione industriale. Non tocco il tema dell’intelligenza artificiale ancora, vorrei fare un passo sull’attuale, sull’automazione. E quindi ci sono moltissime aziende, soprattutto del settore manifatturiero, che stanno proponendo ai lavoratori degli incentivi per andare via e per poter chiaramente automatizzare sempre di più i processi produttivi. 

Noi è chiaro che lì stiamo agendo sostanzialmente su due leve e questo, Davide, chiaramente quello che sta accadendo oggi non è una prospettiva futura. Noi stiamo cercando soprattutto di contrattare con le aziende la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Ovvero cercare sempre di più di poter migliorare la prospettiva e le condizioni dei lavoratori, ma mettere anche in condizione l’azienda di poter innovare. A noi interessa che il lavoratore non venga licenziato, che continui a lavorare in azienda e che soprattutto in queste fasi di passaggio si possa capire anche come cambiare la natura del lavoratore mantenendolo ancorato all’azienda.

Quindi uno degli scenari che avremo davanti è la riduzione dell’orario di lavoro, il lavoratore potrebbe nei prossimi anni lavorare tre giorni a settimana, però la no​​​​​​​​​​​​​​​​ni a settimana, però la nostra prerogativa è quella che rimanga quel tipo di reddito che prende, perché si presuppone che l’azienda può avere maggior profitto dall’automazione industriale e quindi quel profitto maggiore non investirlo necessariamente in speculazione finanziaria, non investirlo necessariamente in miglioramento delle proprie performance, ma che possa riversarlo soprattutto da un punto di vista sociale a favore dei lavoratori. 

Questo ci farà ritrovare nei prossimi anni dei lavoratori che hanno molto tempo libero e quindi questo tempo libero i lavoratori potrebbero investirlo facendo altri lavori, potrebbero investirlo nel welfare, nella propria condizione. Ad esempio io sono un lavoratore al quale piacerebbe moltissimo andare in palestra, non ho tempo per poterci andare. Magari potrei andare in palestra e quindi avere la possibilità di poter avere altri lavoratori che facendo gli istruttori in palestra…

Ti faccio un altro esempio. L’aspettativa di vita tenderà a crescere sempre di più, perché comunque la medicina sta facendo passi avanti. Quindi da un lato avremmo persone che vivranno sempre di più, ma avremmo tantissime altre persone che si dovranno occupare dell’assistenza di persone che vivranno molto di più, ma persone invece che si dovranno occupare anche dell’organizzazione del tempo libero di tantissimi anziani che stanno bene di salute e vogliono vivere la loro vita magari facendo viaggi, avendo una socialità diversa.

Io da un lato vi ho dato una dimostrazione di molti lavori che si perderanno, semplificandoli, ma dall’altro lato ho anche moltissimi lavori che si andranno a creare e su questo ci sarà tanto bisogno di orientamento, perché sono poche le persone che sono in grado di leggere i contesti e soprattutto di orientarsi all’interno di questo nuovo mondo. 

Anche il sindacato deve riuscire a colmare queste esigenze. Cercando di orientare avendo ovviamente una visione molto più ampia e molto più d’insieme questi nuovi lavori che potrebbero esserci e soprattutto cercare di guidare quel cambiamento di cui parlavamo prima.

David: Ti racconto un aneddoto e ti faccio un paio di domande, poi cominciamo a toccare questi punti che stai esponendo del ruolo futuro del sindacato, che è molto molto importante. 

L’aneddoto è ormai dieci anni fa. Ho avuto un incontro con il responsabile delle risorse umane di una delle più grandi banche italiane che con centomila e passa persone a busta paga mi ha detto “io da domani potrei lasciare a casa il 30% delle persone senza che cambiasse niente nel servire i nostri clienti, milioni o decine di milioni di clienti”. Evidentemente dieci anni fa. E non lo faccio perché so che abbiamo un ruolo di calmierante sociale. Nel momento in cui noi licenziassimo decine di migliaia di persone ci sarebbero le rivolte per strada. 

Se questo già succedeva dieci anni fa figuriamoci oggi. Da allora effettivamente tantissime agenzie hanno chiuso. Un’intera nuova generazione di persone si sente anche più a suo agio usando le app che non andare a bussare ad uno sportello bancario e quindi la tendenza è abbastanza inarrestabile. 

Rispetto alla riduzione di ore lavorate per parità di stipendio, c’è proprio un importante movimento verso i quattro giorni lavorativi sulla settimana. Ed è molto interessante perché ingenuamente la prima reazione, penso di tutti, è “ma è assurdo, ma com’è possibile, ma è inimmaginabile”. 

E probabilmente era ugualmente inimmaginabile pensare che ci siano due giorni alla settimana che non si lavora o un giorno alla settimana che non si lavora, anche se è scritto nella Bibbia. E invece un giorno e due giorni addirittura sono stati una conquista praticamente universale, disattesa dagli alcolizzati dal lavoro imprenditori o operai che siano, però è qualcosa che è comunemente accettato. 

Quindi non è assurdo pensare che si possa passare ad una norma, ad una cosa che viene adottata da un numero talmente ampio di imprese che chi va ad affacciarsi alla vita lavorativa si aspetti quello come la cosa naturale. Eppure in Francia la cosa è fallita. Hanno tentato di introdurla e poi si sono tirati indietro. Perché erano troppo in avanti, i tempi non erano ancora maturi. Cosa ha fatto sì che le 35 ore lavorative francesi non siano sopravvissute?

Enrico: Io credo che oggi uno dei problemi, o meglio uno dei luoghi migliori di sperimentazione, è dove viene fatta un’intensa attività produttiva dove sicuramente l’automazione diventa più utilizzata rispetto alla forza umana, la forza lavoro. E quindi è chiaro che lì nel momento in cui c’è maggior bisogno di automazione è chiaro che anche da un punto di vista di contrattazione sindacale diventa più agevole fare quel tipo di ragionamento anche perché ci sono maggiori profitti.

Il tema vero è che oggi i due poli produttivi e manifatturieri non sono in Europa ma sono la parte asiatica e la parte degli Stati Uniti. Quindi oggi l’Europa vive una grande difficoltà, tant’è che mi sembra invece che il tema abbia funzionato bene in Germania, dove invece l’attività manifatturiera è un’attività molto più importante da un punto di vista di generazione di volumi. 

Sì, indubbiamente noi siamo ancora in una fase di dibattito su un tema che potrebbe essere sicuramente il futuro dell’attività, soprattutto degli operai, ma quando io prima parlavo di miglioramento anche della qualità della vita… Noi immaginiamo che oggi stiamo soprattutto contrattando con il Comune di Roma una serie di iniziative per il Giubileo della Chiesa Cattolica. 

Voi sapete che il prossimo anno a Roma ci sarà il Giubileo, sono attesi 35 milioni di pellegrini. Voi immaginate che Roma oggi è un cantiere a cielo aperto perché sta soprattutto modernizzandosi da un punto di vista di viabilità, di gestione in generale della città per poter essere pronta all’evento del Giubileo del prossimo anno.

Allora, perché voglio dire questo? Perché uno dei primi temi sui quali noi ci stiamo confrontando con il Comune di Roma è anche quello dello smart working per i dipendenti di Roma Capitale, del Comune di Roma, quindi dipendenti pubblici. Voi immaginate che Roma Capitale ha 30.000 dipendenti, più altri 30.000 dipendenti che sono quelli delle società collegate a Roma, ad esempio chi fa i trasporti, i rifiuti. Quindi sono complessivamente 60.000 persone che congestionano il traffico romano e ovviamente aggiunto al tema dei cantieri stradali che ci sono, sono una città che era tarata per avere le bighe, oggi chiaramente avere tutto quel traffico veicolare diventa abbastanza sfidante.

Il comune ci chiede di contrattare il tema dello smart working perché quello può essere un tema che può decongestionare il traffico nella città di Roma. Perché vi dico questo? Perché anche questo può essere un tema, cioè quello che le quattro giornate lavorative o le tre giornate lavorative non necessariamente possono essere svolte soltanto dall’impresa manifatturiera, ma può essere svolta anche dalla pubblica amministrazione per cercare da un lato di decongestionare le grandi città, ma dall’altro lato anche abitare i piccoli centri. 

Vi do un dato che è quello della nostra regione. Ogni giorno un milione di cittadini entrano a Roma per poter lavorare o per poter studiare. Quindi sono un milione di cittadini che si spostano e quindi congestionano le strade, creano purtroppo una serie di situazioni a vario titolo. E quindi anche questo tema è un tema soprattutto nei confronti della pubblica amministrazione che può essere un terreno di lavoro perché noi andiamo a decongestionare le grandi città ma invece andiamo ad abitare i piccoli centri. Perché quel milione di cittadini che ogni giorno si spostano per lavoro invece potrebbero migliorare la qualità dei piccoli centri anche con un ripopolamento dei piccoli centri.

Io credo, David, che questo sia un tema e avendone conoscenza a 360 gradi ci consente anche di rimodularlo di volta in volta con la funzione organizzativa che noi potremmo dare e potremmo avere per i lavoratori. 

E penso soprattutto che anche questa capacità di lettura del momento, perché secondo me è bello anche da un punto di vista di romanzo immaginare quale potrebbe essere il lavoro del futuro e quindi anche capire quale potrebbe essere la prospettiva dei lavoratori del futuro. 

Qualche tempo fa c’erano un po’ tutti nuovi lavori, ad esempio il giardiniere per i giardini verticali, quello che potrebbe essere attività di coaching per le persone che restano a casa ad esempio per fare lo smart working oppure le persone che hanno bisogno dello psicologo perché non avendo più vissuto a casa da molti anni hanno un po’ questo conflitto interiore. E questo è chiaramente la prospettiva futura.

La prospettiva sulla quale invece dobbiamo confrontarci oggi è sicuramente di una grande capacità di lettura e noi dobbiamo avere degli eventi futuri, ma soprattutto cercare di convincere i lavoratori che il lifelong learning diventa il loro salvagente per il futuro, perché altrimenti rischiamo. Rischiamo di avere lavoratori inconsapevoli che soprattutto non comprendono che soltanto migliorando la qualità delle loro competenze possono essere pronti per comprendere il futuro e soprattutto per poter essere competitivi nel mondo del lavoro.

Ti faccio soltanto quest’ultima battuta. Quando mi capita un lavoratore che viene da me e mi dice “sai, ho cambiato lavoro e oggi guadagno x, quindi guadagno di più rispetto a magari 2, 3, 4, 5 anni fa”, io dico sempre “è poco”, perché la tua ambizione è quella di migliorare sempre di più la qualità della tua vita e delle persone chiaramente che vivono con te. Significa non appiattire il livello del lavoratore ma significa soprattutto renderlo competitivo in un mercato che ti chiede competizione. 

Io non so se tu avevi un’immagine del sindacalista che ponesse così in maniera importante non tanto una lobby del lavoratore, ma quanto più portatore di interesse di una categoria che rischia di essere molto debole se noi nei prossimi anni non siamo capaci di migliorare le loro condizioni, non soltanto attraverso la nostra capacità di lettura ma anche e soprattutto attraverso la loro condizione che deve essere una condizione che punta a skill sempre più alto.

David: Hai più volte accennato sul ruolo del sindacato come coach di lavoratori, di categorie, di persone che devono rendersi conto di quanto importante è il loro diretto ruolo nel definire il futuro che li attende. 

Negli anni ’60 una persona che si affacciava sul mondo del lavoro poteva tranquillamente aspettarsi di andare in pensione con una certa carriera che poteva essere all’interno della stessa azienda, in un paio di aziende, quello che poteva essere, ma che in realtà la sua vita lavorativa non sarebbe cambiata più di tanto. 

Negli anni ’80 è entrato molto più preponderante il concetto di un intervento formativo a metà carriera che aggiornasse le persone, soprattutto orientato alle abilità digitali, all’uso del personal computer, quello che poteva essere, per accompagnare quindi negli ultimi mettiamo 20 anni della loro carriera le persone in una maniera che potessero essere utili e generassero valore. 

Oggi in effetti il lifelong learning, quindi la formazione continua, è una realtà che spero tutti abbiano ben presente, una sfida che sempre più persone siano pronte ad accogliere ed è rappresentato anche esplicitamente da parte di alcune aziende come Google per esempio che hanno introdotto un montante ore enorme, 20 per cento nel loro caso, un giorno su cinque, che le persone possono dedicare al miglioramento delle proprie abilità, imparando, sperimentando, creando un progetto che gli viene in mente e che magari diventa un prodotto.

Gmail, che adesso è utilizzato da decine se non da centinaia di milioni di persone, o magari miliardi, adesso lo controllo… Scusa, quanti sono gli utilizzatori di Gmail? Chiedo a Google, un miliardo e mezzo. Quindi Gmail è partito come progetto di una persona impiegata presso Google che era stufa delle limitazioni delle soluzioni email di allora, ha smanettato qualche giorno, qualche settimana, nel suo tempo pagato da Google, e ha tirato fuori questa roba incredibile che ha portato tanti soldi alla Google stessa, naturalmente.

Allora, due domande rispetto a questo. Uno, l’Italia è uno dei paesi più sindacalizzati dell’OCSE, 35% se non sbaglio di tasso di sindacalizzazione, la CISL ha 4 milioni di iscritti, ma sia questo che l’altro dei due numeri sono in discesa. 

Quindi la tua sfida è doppia. Non solo c’è da cambiare che cosa fa il sindacato, ma va cambiata la percezione del sindacato presso una popolazione che sta invecchiando, dove i giovani non sono abituati ad un ambiente come magari poteva essere 20 o 40 anni fa. 

E la seconda domanda complementare a questa è che ci possono essere persone naturalmente portate a investire su se stessi all’infinito diciamo, cioè senza limiti, che non dicono “ok, meno male, ho finito la scuola, adesso mai più, non prendo un libro in mano perché posso fare il muratore tutta la vita, il bancario tutta la vita o qualunque cosa tutta la vita”. E invece ci sono le persone che hanno voglia di continuare ad imparare, ad investire su se stessi per migliorare se stessi. 

Una frazione di questi si definisce imprenditore e possono esserlo perché fondano una startup che diventa miliardaria oppure possono esserlo perché aprono una pizzeria. Non c’è nessuna differenza in termini di intraprendenza. Ed entrambi i ruoli e i percorsi sono dignitosissimi. 

E la seconda domanda è, quella frazione probabilmente enorme di persone che ha poca propensione ad investire su se stessa e zero propensione, zero intraprendenza, come facciamo a cambiargli mentalità? Quindi queste sono due domande con cui voglio chiudere la nostra conversazione oggi.

Enrico: Devo dirti che nel nostro territorio regionale la CISL continua a crescere come numero di iscritti. Ti dico anche quali sono i settori in questa fase dove il lavoratore tende più ad iscriversi al sindacato. 

Il settore della scuola, perché c’è un aumento importante di insegnanti in questo momento. Settore sul quale noi stiamo investendo moltissimo perché pensiamo che possano essere la chiave soprattutto di decodificazione del futuro che noi possiamo far partire già dalle giovani generazioni. Quello di far comprendere già agli studenti che soltanto continuando a formarsi possono essere lavoratori competitivi nel futuro.

I secondi lavoratori che tendono a iscriversi in questa fase al nostro sindacato sono i lavoratori del settore socio e sanitario perché come dicevo prima la pandemia da Covid-19 ha fatto comprendere molto quanto sia importante il settore della cura della persona. E quindi anche il settore sanitario sta avendo una grande crescita in questo periodo, come anche i lavoratori del commercio e dei servizi.

La rivista internazionale Taste Atlas dice che Roma è il luogo migliore al mondo dove si mangia meglio in assoluto. Non è una novità, è la realtà. E il settore della ristorazione nella nostra regione è un settore che sta crescendo moltissimo. 

Quindi da un lato è vero, è il posto dove si mangia meglio al mondo, ma dall’altro lato è il posto dove la qualità del cibo è molto variabile. Cioè ci sono i cosiddetti ristoranti gourmet e ci sono moltissimi ristoranti turistici e poi c’è la parte più o meno di mezzo. 

Perché ti faccio questo esempio? Perché quel tipo di lavoratore è uno dei lavoratori più deboli in assoluto. Perché si confronta poco, perché all’interno di una trattoria romana c’è il cuoco, c’è il cameriere e c’è il proprietario. Molto spesso il proprietario è anche il cuoco e quindi diventa difficile avere un confronto. E quindi quel tipo di lavoratori rimane cristallizzato, ingabbiato all’interno della sua condizione per moltissimi anni. 

E quando un cuoco, uno chef o un cameriere non sono felici del loro lavoro lo capisce il cliente che mangia male perché è servito male, perché la persona che lo serve è scorbutica, non è empatica. E lì noi stiamo cercando di fare un grande lavoro per far comprendere soprattutto attraverso i fondi interprofessionali, che sono questi fondi generati dai datori di lavoro e dai sindacati, per poter creare dei fondi per poter formare questi lavoratori.

E quindi vi accorgerete che mediamente il cameriere romano è quello che parla a malapena l’inglese, a malapena il francese, a malapena il tedesco e non conosce minimamente l’asiatico. E qualche volta parla solo romano, romanesco, a volte non parla neanche l’italiano, questo è vero, quindi parla in romano. E quindi anche lì cercare soprattutto di vedere quanto siamo molto bravi nel fare cucina e ristorazione ma quanto siamo molto meno accoglienti rispetto ai locali ad esempio tedeschi, ai locali francesi, ai locali spagnoli.

David: Questo è un esempio molto interessante perché in effetti unisce gli interessi dell’imprenditore e del lavoratore nel momento in cui l’Italia perde posizioni nel numero di visitatori per il turismo mondiale e viene battuta dalla Francia o dalla Spagna. Chi conosce l’Italia si rende conto che è un assurdo che non dovrebbe succedere e che è dovuto all’impreparazione infrastrutturale e molto fortemente della qualità dei servizi che il turista moderno si aspetta, che sia in Romagna, a Roma o ovunque. Quindi la formazione, il miglioramento delle condizioni di tutti quanti partecipano al sistema ha un interesse comune in questo senso, perfetto esempio.

Enrico: Io faccio una domanda anche ai nostri sindacalisti e gli dico “secondo voi qual è la città più visitata in Italia?” Chiunque dice è Roma. Roma è la quinta perché il primo luogo più visitato in Italia sono le Dolomiti, al secondo posto c’è Venezia, al terzo posto c’è quell’Emilia Romagna di cui parlavi tu prima, al quarto posto c’è la Toscana e al quinto posto c’è Roma. 

Quindi per farvi capire quanto una città così bella, unica al mondo, se poco investe sul suo core business principale che è il turismo, rischia di essere tra qualche anno una bella addormentata nel bosco, ovvero tanto bella ma quanto addormentata sullo sviluppo della propria economia.

E quindi per cercare anche di rispondere alla tua domanda, quello che noi possiamo continuare a fare è soprattutto individuare ogni singolo contesto e far comprendere al lavoratore che soltanto cercando di analizzare insieme agli altri, perché io sono convintissimo che in un mondo dove la separazione tra le persone, la competitività delle persone rischia di essere un po’ una sorta di familismo utilitaristico, familismo amorale, nel senso le persone vengono messe in competizione e tu vedi l’altro come un nemico…

Noi vorremmo cercare, spero che non sia utopia David, di tornare a far capire che i problemi dei lavoratori sono un po’ generalizzati per tutti i lavoratori e che soltanto stando insieme e aggregandosi i lavoratori possono comprendere meglio quelle che possono essere le loro condizioni, non per tornare al Novecento dove il sindacato era un sindacato antagonista, massimalista, anticapitalista e che vedeva chiaramente una grande contrapposizione tra chi metteva il capitale e chi metteva il lavoro.

La modernità soprattutto della CISL è quella di proporre invece per cercare di governare questi processi anche la partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali, all’organizzazione del lavoro, agli utili di impresa, la presenza nei comitati di sorveglianza come ad esempio molto bene riescono a fare sicuramente molto meglio di noi i tedeschi che hanno una capacità di penetrazione sicuramente molto diversa dalla nostra.

Poi io ci tengo a dirlo a conclusione di questa bellissima chiacchierata che abbiamo fatto oggi. L’adesione al sindacato in Italia è secondo me una delle più grandi manifestazioni di libertà e di democrazia che ci possono essere per i lavoratori, perché l’adesione è libera. Non è come ad esempio in Germania o in Nord Europa dove l’adesione al sindacato ti fa rinnovare un contratto nazionale oppure ti consente di agganciarti al rinnovo del contratto nazionale. 

Se noi rinnoviamo un contratto nazionale lo rinnoviamo per i lavoratori iscritti al sindacato e per coloro che non sono iscritti al sindacato. Quindi un lavoratore che liberamente decide di destinare l’1% della propria retribuzione all’organizzazione sindacale credo che devi essere davvero molto motivato per poterlo fare.

E sapere che oggi l’Italia è uno dei paesi dove il sindacato è più rappresentativo nonostante quello che ti dicevo prima, è completamente libero e non c’è nessuna coercizione, non è governativo. Io per poter fare la mia attività la faccio soprattutto grazie ai lavoratori che pagano la tessera e pagano l’iscrizione al sindacato, io non ho nessun finanziamento pubblico, quindi significa che il nostro lavoro continua a essere un lavoro sicuramente ben fatto.

Dovremo scontrarci e questo è sicuro con la modernità del nostro tempo, con la modernità dei tempi futuri, cercando sempre meglio di intercettare quelli che sono i bisogni dei lavoratori e tradurli in concretezza perché oggi i lavoratori ci chiedono questo – di essere concreti, di essere pratici e di poter migliorare davvero la loro condizione. E credo che se cresciamo come iscritti lo stiamo facendo ma dobbiamo cercare di farlo in maniera sempre più ambiziosa.

David: Voglio visualizzare più che una domanda una provocazione di Emiliano che ci segue e che dice “la CISL dovrebbe mettere un modello di intelligenza artificiale per aiutare i lavoratori a capire il loro ruolo nell’economia”.

Enrico: Stiamo iniziando con un modello che non è tanto capire qual è il loro ruolo nell’economia ma una prima risposta ai loro bisogni prima di avere chiaramente la presa in carico della persona in carne ed ossa, quindi un affiancamento rispetto alla nostra attività ordinaria.