di Roberto Vacca
Grandi applicazioni di dati nell’assistenza sanitaria e nella epidemiologia sono molto promettenti, se possono superare gli ostacoli regolatori. E’ sempre il caso di buna parte del valore che può essere guadagnato dipende dall’abilità di interpretare i dati che si raccolgono. Trovare degli schemi, e deviazioni di essi è il miglior punto di partenza per essere in grado di chiedere domande interessanti, come in questo guest post di Roberto Vacca, che analizza dei trend sorpendendti nella mortalità da tumore, comparando paesi con lunghe aspettative di vita come Italia, Giappone e Svizzera.
Se fossimo nati parecchie migliaia di anni fa, avremmo potuto sperare in media di vivere poco più di 20 anni. Da un paio di millenni fa le varie civiltà hanno allungato la vita media di oltre un decennio. Poi la mortalità è diminuita drasticamente nell’ultimo secolo dopo le scoperte dei vaccini, degli antibiotici e, quindi, per la minore incidenza delle malattie infettive. Però nel 1900 la vita media nel mondo era di 41 anni; nel 1950 di 53 e nel 2010 di 67. Nell’ultimo decennio la speranza di vita è ancora cresciuta nei paesi sviluppati da 67 a 80 anni – in Africa da 40 a 67 anni.
Dunque le cose vanno meglio. Però in età avanzata le difese dell’organismo sono meno efficaci e i processi degenerativi sono più probabili. Quindi nei Paesi in cui la popolazione è più longeva, la mortalità dovuta a tumori è più alta. L’insorgere di tumori è favorito da molti fattori. Fra questi: eredità genetica, radiazioni ionizzanti, agenti chimici, infezioni virali. Altri fattori, come fumo, obesità, eccesso di alcol e di certe droghe, sono ovviamente più forti nei paesi più ricchi. La tabella seguente riporta su base mondiale i dati di popolazione, longevità, morti annue e mortalità dovute a tumori.
Si vede che i Paesi in cui la durata media della vita supera gli 80 anni, hanno mortalità da tumori maggiore di 200/anno per 100.000 abitanti. Nei paesi meno longevi la mortalità da tumori è minore. La correlazione fra le due variabili: è del 97,2 per cento. La mortalità annua per cancro cresce in funzione dell’età: fino ai 50 anni è di poche decine di vittime ogni 100.000 abitanti, poi gradualmente arriva in età avanzata a 2000 – 3000/100.000 abitanti (cioè 2 – 3 %).
L’Italia è al primo posto nel mondo; al secondo posto il Giappone, avviato al sorpasso. Questa mortalità cresce sia in Italia (lentamente), sia in Giappone (rapidamente). Paradossalmente in Svizzera, paese longevo e affluente, la mortalità da cancro STA DIMINUENDO.
Per capire come (ma non perché) vadano le cose, analizziamo i numeri. È noto che il cancro non è una sola malattia: si manifesta in molte forme diverse. Le statistiche, però, lo classificano come una singola causa di morte. Ho analizzato per molti paesi l’andamento nel tempo dell’incidenza dei tumori e della conseguente mortalità. Ho trovato che questi processi si possono descrivere con precisione mediante equazioni di Volterra: ho costruito un algoritmo per identificare le curve relative (dette logistiche), che sono a forma di S. La crescita, inizialmente lenta, accelera tanto da sembrare quasi esponenziale, poi rallenta e tende, infine, a un valore costante, detto asintoto. Anche le epidemie insorgono e poi declinano secondo le stesse leggi. Questo approccio, empirico, non individua cause ed effetti, ma consente di fare previsioni, valide finchè non si presentino discontinuità, di cui si dovrà tentare di individuare cause ed effetti.
Svizzera, Italia e Giappone presentano, dunque, andamenti diversi. In Italia il tasso di mortalità da tumori crebbe da 120/100.000 abitanti nel 1951 a 290 nel 2010. In Figura 1 le crocette rappresentano, anno per anno, i valori, registrati dalle statistiche, del numero di italiani morti di cancro per ogni 100.000 abitanti. La curva continua, rappresenta i valori dati dall’equazione che meglio si adatta ai dati sperimentali e indica che verso il 2050 si arriverà a 320/100.000 abitanti (cioè 200.000 decessi annui). La mortalità annua per cancro in Giappone fino al 1983 era di 147/100.000 abitanti e cresceva mirando a 182. Dopo il 1983 sta accelerando (come mostra la curva continua in Figura 2) e mira a 388/100.000 abitanti (cioè 495.000 decessi annui), valore che è avviata a raggiungere a metà secolo – sebbene l’aspettativa media di vita sia più alta.
In Svizzera, invece, dal 1985 la più bassa mortalità da tumori decresce ancora. In Figura 3 la curva calcolata, indica che dal valore attuale di 216, si dovrebbe scendere verso la metà del secolo a 130 (cioè da 17.000 a 10.000 decessi annui.).
Non ci sono spiegazioni semplici e ovvie di questo andamento favorevole per gli svizzeri – così marcatamente difforme da quello negativo per italiani e giapponesi. Varrà sicuramente la pena di condurre accurate indagini per individuare quali fattori (ovviamente rilevanti) siano alla radice di questa disparità.
La prima ipotesi da testare è che le rilevazioni statistiche siano viziate da differenti procedure di diagnosi, di analisi e di registrazione dei casi. L’ipotesi che gli svizzeri siano favoriti dalla loro costituzione genetica, sembra improbabile: la popolazione non presenta certo una notevole uniformità atavica. Andranno analizzate le condizioni ambientali, le diete, i comportamenti, la presenza o assenza di certe sostanze chimiche nei materiali di costruzione, nelle emissioni naturali o artificiali, nei medicamenti più diffusi. Queste ricerche non saranno motivate da sterile curiosità, ma potranno forse identificare nuove direzioni di ricerca e di igiene.
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Vale certo la considerazione che uno stile di vita sobrio e un adeguato e continuato esercizio fisico contribuiscono a ridurre gli effetti delle sindromi citate e anche di altre affezioni.
La mortalità annua media nel mondo è dell’8,3 per mille – in USA è dell’8,1 per mille; in Europa del 9-10 per mille, in Russia del 13,5 , in Afganistan del 18,2 per mille.
La maggiore longevità implica, in genere, una forte crescita della mortalità. Quella da tumori cresce di circa 5 volte tra il 7° e il 9° decennio di vita. Intanto quella da sindromi cardio-vascolari cresce di 8 volte.
Penso che il tasso di mortalità generale significa poco. In primo luogo è bene distinguere il tasso di morbilità generale dal tasso di mortalità tra i malati. In secondo luogo, dato che sia la morbilità che la mortalità dei malati dipende dall’età, si dovrebbe considerare tali tassi all’interno di una stretta fascia di età, per esempio tra i 70 e i 75 anni.