Il riscaldamento globale è diventato una moda. Dai giornalisti, ai politici, agli investitori in tecnologia e gli inventori, tutti stanno improvvisamente prendendo sul serio un fenomeno che chi seguiva la scienza che studia l’atmosfera, il clima e i suoi cambiamenti vedeva già decenni fa.
Questo fenomeno in cui una cambiamento progressivo arriva a superare le soglie di attenzione della coscenza comune è frequente. Uno degli esempi migliori è Internet, dove era facile sottovalutarne l’importanza alla fine degli anni ottanta, quando erano poche migliaia i computer collegati. Ma dato che il numero raddoppiava ogni anno, sono arrivati a milioni pochi anni dopo e nessuno poteva più ignorarne le conseguenze. Queste conseguenze sono comuni ai fenomeni esponenziali.
Il cambiamento del clima comporterà conseguenze espoenziali?
Nessuno lo sa in realtà.
Siamo in grado, anche con interventi drastici e improbabili, promesse radicali ma ipocrite, di fermarlo o invertirlo?
E’ improbabile.
Al Gore non ha vinto il premio Nobel per le soluzioni che propone, perché non ne propone. Ha vinto perché è stato in grado di comunicare un senso di urgenza, che non può essere ignorato e che pone le basi per fare le domande giuste. Per raggiungere obiettivi che possano massimizzare il benessere dell’umanità nel suo insieme e per le generazioni presenti e future.
Una persona che sta analizzando i metodi per trovare le domande giuste e per vagliare le risposte migliori è Bjorn Lomborg, professore aggiunto alla Copenhagen Business School, e autore dei libri ‘A Skeptical Environmentalist’ e il recente ‘Cool It‘. Nei suoi libri e nel controverso e provocatorio lavoro di ricerca il ‘Copenhagen Consensus’ analizza i modi migliori per spendere le risorse finanziarie a disposizione della civiltà umana nella sua globalità e conclude che non è giusto intervenire con soluzioni veloci ma superficiali, sacrificando la possibilità stessa delle future generazioni di spendere meglio le risorse rimanenti nelle loro condizioni.
Il ragionamento di Lomborg si basa sull’aumento del benessere mondiale che meglio equipaggia il futuro, inclusi i paesi poveri a fronteggiare i problemi causati e sull’osservazione del cambiamento tecnologico che mette alla nostra portata soluzioni oggi non raggiungibili a problemi presenti e futuri.
Il sistema politico mondiale oggi è inerentemente incapace di adottare soluzioni lungimiranti. Tutto va contro le decisioni impopolari con una ricaduta benefica in decenni. Dobbiamo prepararci a cambiare le regole del gioco politico se vogliamo che i ragionamenti delle nostre società siano compatibili con un futuro desiderabile.
Come viene affrontata la conversazione italiana, europea e mondiale sulle dinamiche ecologiche in relazione al benessere delle future generazioni?
Quanto ci possiamo permettere di non applicare criteri razionali a scelte esistenziali?
Sono stato invitato a partecipare al convegno organizzato da Nova Energy, “Alt ai cambiamenti climatici” che si tiene il 5 novembre via web. Essendo a Berlino per la conferenza Web2.0 di O’Reilly non posso essere attivo, ma mi è stato chiesto di inviare una domanda da porre ai relatori. Ecco cosa ho chiesto:
“Bjorn Lomborg, nel suo studio Consenso di Copenhagen e il recente libro Cool It, giudica miopi le attuali iniziative per il controllo del cambiamento climatico e ritiene che possano rappresentare un investimento estremamente inefficace delle risorse finanziarie globali disponibili, quando si tiene conto del benessere futuro dell’umanità.
Come possono relazionarsi in modo costruttivo e razionale il sistema politico, scientifico e industriale per massimizzare la probabilità di soluzioni lungimiranti e che tengano conto delle dinamiche non solo ambientali, ma sociali, economiche e tecnologiche che cambiano?”