Miriamo a costruire gli agenti software e i robot più intelligenti, entusiasti delle possibilità dell’intelligenza artificiale.
Miriamo a costruire i programmi più intelligenti possibili che ci servono. Ma cosa accadrebbe se questo approccio fosse l’opposto di ciò a cui dovremmo mirare? E se invece mirassimo a costruire un insieme di componenti di intelligenza artificiale che fossero dell’intelligenza minima necessaria per un determinato compito e diventassero un componente dell’infrastruttura su cui sarebbero poi costruiti altri sistemi di intelligenza artificiale?
Quando molti decenni fa i protocolli per Internet furono progettati utilizzando l’insieme degli standard TCP/IP, gli architetti di quel progetto furono in grado di rendersi conto che sarebbe stato impossibile prevedere il tipo di applicazioni che in futuro sarebbero state costruite utilizzando quei protocolli. Di conseguenza, non hanno cercato di prevedere il tipo di applicazioni che sarebbero emerse e il tipo di funzionalità di cui queste applicazioni avrebbero avuto bisogno. Quello che hanno fatto invece è stato concordare l’insieme minimo di componenti del protocollo che sarebbe stato in grado di supportare il set più ricco di applicazioni, qualunque cosa gli sviluppatori creativi avessero inventato in futuro, e questo approccio è stato trasformativo.
Qualcosa di simile dovrebbe succedere anche con l’IA. Completare l’arduo compito di stabilire quale sia l’insieme minimo di servizi di supporto che il nuovo layer di intelligenza artificiale dovrebbe fornire in modo uniforme a tutti. Tra qualche anno vedremo fiorire nuove applicazioni di intelligenza artificiale, simili a come Internet ha potuto fiorire, grazie allo stesso approccio, a partire da molti decenni fa.