Cultura aperta – Conversazione con Marco Ciurcina

Qualche giorno fa ho fatto una conversazione con Marco Ciurcina, avvocato e attivista per i diritti digitali. Di seguito il riassunto, il video e la trascrizione rivista.

Riassunto

David Orban intervista l’avvocato Marco Ciurcina sui temi della proprietà intellettuale e della cultura aperta. 

Marco spiega di occuparsi principalmente di diritto informatico, proprietà intellettuale e privacy. Racconta la sua passione per la tecnologia fin dagli anni ’90 con la nascita di internet. 

Si parla poi di software libero e open source, delle differenze tra le due filosofie e del loro impatto sulla cultura. Si discute delle licenze GPL create da Richard Stallman e del progetto Creative Commons di Lawrence Lessig per promuovere la cultura libera.

David fa degli esempi concreti di limitazioni ai diritti di proprietà intellettuale che secondo lui danneggiano la diffusione della cultura, come il divieto di fare foto nei musei o la complessità burocratica per la musica dal vivo nei locali.

Si affronta poi il tema dell’intelligenza artificiale generativa e di come questa tecnologia stia creando un’esplosione di contenuti creativi, sollevando interrogativi sui diritti d’autore. Marco spiega la normativa europea che regola l’utilizzo di opere protette per addestrare i sistemi di AI.

Infine si discute dei vantaggi dell’open source rispetto ai sistemi di AI proprietari, e dell’approccio proposto dal ricercatore Max Tegmark per gestire in modo responsabile lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

In sintesi, un confronto approfondito su come trovare un equilibrio tra protezione della proprietà intellettuale e promozione della cultura aperta e accessibile a tutti.

Marco Ciurcina e la Open Culture – Qual è la domanda live #25

Trascrizione revisionata

David: 

Benvenuto Marco! Magari presentati un po’ questo prefisso minaccioso di avvocato, cosa rappresenta nel tuo nome per chi non ti conoscesse e non abbia avuto modo di eseguire il tuo lavoro.

Marco:

Sono un avvocato. Professo l’avvocatura, perché essere avvocato è forse qualcosa di più che solo fare un mestiere. Qualche giorno fa con alcuni amici si parlava della diminuzione di vocazioni all’avvocatura, no? C’è una vocazione, una passione per il diritto, per la giustizia che unisce la comunità degli avvocati. Come avvocato io mi occupo di una percentuale direi importante, sicuramente prevalente, non direi esclusiva comunque, di tre cose IT, IP e privacy, per dirla in maniera semplice. Quindi nuove tecnologie, ho seguito nella mia vita tutta la parabola dell’internet, perché ho iniziato negli anni 90, quindi ho iniziato a occuparmi di tecnologia appena uscito dall’università. 

Mi ricordo che poi è iniziata così perché uscendo dall’università mi conoscevano come quello che sapeva un po’ di più degli altri di tecnologia, di computer, di cose strane e quindi ho iniziato così, essendo coinvolto in attività in questo modo qua. Poi c’è stata tutta la stagione della bolla degli anni 2000, la prima onda delle start up, poi ci sono state altre onde, comunque mi occupo quindi di IT, di aziende che si occupano di IP è la sigla sintetica, anche se non mi piace l’espressione, proprietà intellettuali, per dirla in maniera semplice. 

Quindi nuove tecnologie, ho seguito nella mia vita tutta la parabola dell’internet, perché ho iniziato negli anni 90, quindi ho iniziato a occuparmi di tecnologia appena uscito dall’università. Mi ricordo che poi è iniziata così perché uscendo dall’università mi conoscevano come quello che sapeva un po’ di più degli altri di tecnologia, di computer, di cose strane e quindi ho iniziato così, essendo coinvolto in attività in questo modo qua. 

Poi c’è stata tutta la stagione della bolla degli anni 2000, la prima onda delle start up, poi ci sono state altre onde, comunque mi occupo quindi di IT, di aziende che si occupano di IP è la sigla sintetica, anche se non mi piace l’espressione, proprietà intellettuali, per dirla in maniera semplice. Quindi nuove tecnologie, ho seguito nella mia vita tutta la parabola dell’internet, perché ho iniziato negli anni 90, quindi ho iniziato a occuparmi di tecnologia appena uscito dall’università. Mi ricordo che poi è iniziata così perché uscendo dall’università mi conoscevano come quello che sapeva un po’ di più degli altri di tecnologia, di computer, di cose strane e quindi ho iniziato così, essendo coinvolto in attività in questo modo qua. 

Poi c’è stata tutta la stagione della bolla degli anni 2000, la prima onda delle start up, poi ci sono state altre onde, comunque mi occupo quindi di IT, di aziende che si occupano di IP è la sigla sintetica, anche se non mi piace l’espressione, proprietà intellettuali, per dirla in maniera semplice. Quindi nuove tecnologie, ho seguito nella mia vita tutta la parabola dell’internet, perché ho iniziato negli anni 90, quindi ho iniziato a occuparmi di tecnologia appena uscito dall’università. Mi ricordo che poi è iniziata così perché uscendo dall’università mi conoscevano come quello che sapeva un po’ di più degli altri di tecnologia, di computer, di cose strane e quindi ho iniziato così, essendo coinvolto in attività in questo modo qua. 

Poi c’è stata tutta la stagione della bolla degli anni 2000, la prima onda delle start up, poi ci sono state altre onde, comunque mi occupo quindi di IT, di aziende che si occupano di IP è la sigla sintetica, anche se non mi piace l’espressione, proprietà intellettuali, per dirla in maniera semplice. Quindi nuove tecnologie, ho seguito nella mia vita tutta la parabola dell’internet, perché ho iniziato negli anni 90, quindi ho iniziato a occuparmi di tecnologia appena uscito dall’università. Mi ricordo che poi è iniziata così perché uscendo dall’università mi conoscevano come quello che sapeva un po’ di più degli altri di tecnologia, di computer, di cose strane e quindi ho iniziato così, essendo coinvolto in attività in questo modo qua.

Poi c’è stata tutta la stagione della bolla degli anni 2000, la prima onda delle start up, poi ci sono state altre onde, comunque mi occupo quindi di IT, di aziende che si occupano di IP è la sigla sintetica, anche se non mi piace l’espressione, proprietà intellettuali, per dirla in maniera semplice. Quindi nuove tecnologie, ho seguito nella mia vita tutta la parabola dell’internet, perché ho iniziato negli anni 90, quindi ho iniziato a occuparmi di tecnologia appena uscito dall’università. Mi ricordo che poi è iniziata così perché uscendo dall’università mi conoscevano come quello che sapeva un po’ di più degli altri di tecnologia, di computer, di cose strane e quindi ho iniziato così, essendo coinvolto in attività in questo modo qua.

David:  

Ti faccio una domanda, grazie per aver dato questa inquadratura utile e che collega naturalmente la tua professione al tema di cui parliamo oggi. I diritti di proprietà intellettuale appartengono in modo vario, differenziato a persone o ad aziende e qualche volta e la società, il legislatore o i tribunali possono influenzare qual è il bilancio e quali sono i rapporti che emergono di conseguenza alle loro decisioni tra queste diverse parti nel gioco. E la ragione per cui metto evidenza su questo e dell’interazione che c’è fra di loro è che, se la società non ha un’interazione, non si può decidere se si deve o no. E’ un’interazione che non è una interazione che si può decidere se si deve o no.

E perché penso che in molte persone non c’è una sufficiente percezione chiara del fatto che le leggi e i diritti che queste leggi proteggono, interpretano, sostengono, promuovono non sono fissi. Né le leggi né i diritti. E che vale la pena magari di andare un po’ alla radice della ragione per cui li abbiamo formulati in un certo modo, per poi chiederci se la loro interpretazione attuale è valida e se corrisponde agli obiettivi che abbiamo. 

Faccio un esempio per rendere concreta l’invito al tuo approfondimento. Il diritto d’autore è nato per promuovere la creatività e l’arte nella società intera per un periodo limitato in modo che il detentore del diritto d’autore potesse trarne giovamento, sfruttandolo in una maniera commerciale o in qualunque modo. Ma era limitato proprio perché, quando è stato stabilito, si vedeva il vantaggio della diffusione dei prodotti protetti dal diritto d’autore nella società intera, mentre, pare a me, oggi siamo all’estremo opposto, dove il vantaggio che è arriva alla società è quasi dimenticata o se non è dimenticata è così difficile da adoperare che le persone non si rendono neanche conto che quella era la nascita originaria, quelli erano gli obiettivi originali dell’arricchimento della società intera, non dell’arricchimento dei detentori dei diritti d’autore.

Marco:

Guarda, mi tocchi un tema che mi sta molto a cuore, perché su come cambia il diritto, occupandomi di questi temi, avendo a cuore i valori, l’idea della cultura aperta, perché è un’altra cosa che io sono molto attivo, sono stato per la tutela dei diritti fondamentali la storia del conflitto che si è generato intorno al modo in cui funzionava e veniva interpretato il diritto d’autore in particolare, ma anche altri set normativi come i diritti brevettuali, di fronte all’arrivo di Internet, la diffusione di Internet ci ha trovato un ci ha fatto scoprire che c’era un diritto che su internet non funzionava bene, il diritto d’autore particolare. 

Allora il diritto d’autore per molti anni è stato vissuto in maniera ostile da chi era autore. Eh fautore e promotore dell’idea della della della della conoscenza aperta. Il problema ehm il problema è il modo in cui evolvono i set normativi rispetto all’evoluzione dei set normativi eh sono In particolare per il diritto d’autore sono chiaramente in azione due metamodelli, la regulatory competition, cioè la competizione regolatoria, il diritto d’autore nasce nel 1710 con lo statuto d’Anna in Gran Bretagna, velocemente già alla fine dell’Ottocento era già diffuso in moltissimi paesi. 

Perché funzionava, risolveva dei problemi. Quindi si è attivato un meccanismo di competizione regolatoria negli altri paesi, si è visto che il diritto d’autore funzionava. Adesso ricordo solo alcuni episodi. In Francia il gran fautore del diritto d’autore era Vittor Grosso. Da noi in Italia un grande promotore del diritto d’autore era Manzoni, c’è una causa famosa di Manzoni che tenta di ottenere protezione in Toscana. 

Il promessi sposi è stato pubblicato all’inizio a fascicoli a Milano su un giornale e poi è diventato famosissimo perché ha avuto un grandissimo seguito e quindi ha iniziato a pubblicare libri, però in Toscana glielo pubblicavano senza riconoscergli nulla, quindi c’è stata una famosa causa per questo. 

Il diritto d’autore nasce come diritto per proteggere il pubblico. Gli artisti, i creativi e ha funzionato decentemente fin quando il mondo funzionava in un certo modo. Poi è arrivato internet e ci siamo trovati con qualcosa che non andava più bene, che c’era. E lì opera un altro metamodello che viene definito la path dependency, cioè la dipendenza dal percorso. 

Cosa interessante è che il diritto d’autore, come accennavi tu, nasce come diritto che durava poco, 10 anni, 14 anni, le durate iniziali del diritto d’autore erano quest’ordine di grandezza, la durata del diritto d’autore nelle prime leggi, poi però è sempre aumentato, quando è arrivata la convenzione di Berna, nel 1989, la durata è sempre aumentata, se con 1800, non mi ricordo se 86 o 89, adesso non ricordo l’anno esatto, comunque nella convenzione di Berna si prevede che la prima volta che si avvicina alla Corte di Stato Altra cosa interessante, perché il diritto d’autore è uno dei diritti, il diritto d’autore brevetti nei quali… lo spazio nel quale si genera per primo, diciamo prima che in altri ambiti, il fenomeno della regolazione internazionale, ovvio perché il diritto d’autore in un paese solo non serve a niente se non hai protezione anche in altri paesi, le opere immateriali circolano rapidamente quindi questo ha prodotto una spinta importante alla regolazione uniforme a livello globale.

E nella Convenzione di Berna si prevedeva la durata minima, la Convenzione di Berna contiene alcune regole uniformi che devono essere rispettate in tutti i paesi che aderiscono alla Convenzione, che oggi sono praticamente tutti, si prevedeva una durata minima di 50 anni, oggi il diritto d’autore da noi in Europa dura 70 anni, la durata del diritto d’autore è di 70 anni. Fino alla fine del settantesimo anno dopo la morte dell’autore. Quindi è più di settant’anni. Negli Stati Uniti anche di più, ci sono casi nei quali il diritto d’autore è stato esteso oltre, c’è un famoso atto normativo dei primi anni 2000, il Mickey Mouse Act lo chiamavano, è stato chiamato il Sonny Bono Act, però è stato ribattezzato Mickey Mouse Act perché stavano scadendo i diritti su Topolino e quindi un incentivo a prodotto come effetto l’allungamento della durata del diritto d’autore. 

La path dependency, quindi la dipendenza dal percorso, è molto difficile tornare indietro, adesso si dice che il diritto d’autore dura troppo, non va bene, dovrebbe durare di meno, come fai a tornare indietro? È impossibile, perché? Perché uno dei principi, almeno in Italia, ma penso in molti paesi del mondo, è quello dei cosiddetti diritti quesiti. Una volta che tu hai un diritto non ti si può togliere, ti si deve indennizzare se ti si toglie un diritto. 

Quindi ridurre la durata del diritto d’autore oggi potremmo farlo, ma con effetto tra molti anni, non a meno di decidere di risarcire tutti gli autori per la riduzione della durata dei loro diritti. Una volta che un diritto c’è, una volta che un framework giuridico c’è, poi è complicato modificarlo, quindi devi giocare con quello che hai e cercare di intervenire nel correggere. Fin dove puoi, perché poi in ambito nazionale devi comunque rispettare i trattati internazionali. 

La Convenzione di Berna crea delle rigidità al modo in cui si può intervenire sul diritto d’autore per tutti i paesi che ne sono a Mendi. In Europa abbiamo ancora più rigidità perché abbiamo tutte le direttive comunitarie che reggono il diritto d’autore e quindi a livello nazionale. L’ambito di intervento è molto limitato, cioè ci puoi muovere rispettando, quindi la path dependency, il percorso condiziona il modo in cui evolvono le cose nel futuro. Da sempre partire da dove siamo oggi.

David:

Un intervento di hackeraggio geniale rispetto a come fa a risolvere le cose è stato fatto da Richard Stallman con le licenze gpl e non ci soffermiamo su quello perché avremo una persona che parlerà di software open source e sicuramente ne parleremo con lui, è un analogo a che raggio? Geniale è stato fatto da Larry Lessig con Creative Commons, che in una maniera meno virale, meno impositiva, forse, almeno secondo me, ha fatto sì che in presenza di di legislazione protettiva dei diritti d’autore, un autore potesse associare alle sue opere delle licenze con dei permessi molto più disponibili, molto più aperti, se desiderava che queste opere circolassero nella massima maniera possibile. 

Invece di dover negoziare individualmente ogni accordo in assenza di queste licenze che Creative Commons permette di associare alle opere. Parlando quindi di metamodelli e questo delle GPL, delle licenze software, o di Creative Commons per i copyright. Possono essere degli esempi che ispirano per creare condizioni perché la cultura aperta si possa propagare, si possa rafforzare invece di progressivamente restringersi anche a causa della dipendenza dei percorsi che hai menzionato?

Marco: 

Mi piace molto la definizione che hai dato della licenza GPL come hackeraggio, perché concordo, è stata un’idea geniale, secondo me Richard Stallman che era un grandissimo bravissimo sviluppatore, dicono che avesse una rapidità straordinaria, per me la cosa più geniale che ha fatto è la licenza GPL che è un lavoro da avvocato, l’ha fatto con degli avvocati che l’hanno aiutato. 

Diversi nel tempo, c’è un avvocato che l’ha aiutato per la versione 1, poi un altro nella versione 2, però è proprio un hacking, è una creazione divertente. E le licenze di software libero, come le chiama Stallman, Io da attivista preferisco quel modo di chiamare le licenze di software libero invece che open source che è una creazione, un modo di chiamarle che è arrivato parecchi anni dopo nel secondo mese del 1990 e comunque quel modello, quella cosa lì, le licenze libere di software, funzionavano perché ormai a fine anni 90, primi anni 2000, si vedeva che c’era qualcosa che stava funzionando e quindi l’ESIG con altri hanno avuto l’idea di provare a creare delle licenze applicabili ad altri artefatti che non fossero il software. 

Quindi hanno creato le licenze Creative Commons. C’è però una differenza importante secondo me che vale la pena mettere a fuoco parlando di licenze di software libero e licenze Creative Commons. Il software libero ha come obiettivo la libertà dell’utente, quindi l’obiettivo delle licenze di software libero è dare libertà all’utente. 

Le licenze Creative Commons invece sono licenze che hanno come obiettivo quello di dare libertà al creativo, al creatore dell’opera e quindi gli offrono un ventaglio di licenze. Le licenze Creative Commons Public Licenses sono sei che si articolano scegliendo tra tre attributi non opere derivate, share alike e non share alike. Non commercial. Mettendo o non mettendo questi attributi si formano le diverse possibili licenze creative commons, con l’avvertenza che le licenze sono 6 perché due attributi share alike e non commercial. Non sono compatibili tra di loro, quindi quei due attributi lì danno tre opzioni, non c’è niente, c’è no derivative e c’è shera light. Non commercial, o c’è o non c’è, 3×2, ecco qua, le 6 possibili licenze Creative Commons. 

Che però sono licenze pensate per dare al creatore, all’artista, la possibilità di scegliere quello che più gli aggrada, no? Voglio concedere la facoltà di utilizzare anche per scopo commerciale, oppure no, no, possono fare opere derivate, non possono farle, sì, però solo se distribuiscono secondo i termini della stessa licenza. 

Però queste appunto rispondono a un obiettivo etico diverso da quello del software libero. Tanto è vero che a un certo punto un gruppetto di persone si inventò la definizione di software libero. Free Cultural Work, opera creativa libera, e a seguito di valutazioni giunsero alla conclusione che delle licenze Creative Commons solo due sono licenze che soddisfano la definizione di Free Cultural Work, e cioè la licenza Attribution e la licenza Attribution Sharealike, quindi. 

Infatti anche nel progetto Creative Commons uno può utilizzare i tool che ci sono a disposizione e scegliere la licenza che gli piace di più e se sceglie una di queste due licenze troverà che è anche una licenza compatibile con la definizione di opera culturale libera. Se usano una delle altre licenze, no. Quindi questa è una differenza importante parlando di licenze di software e di licenze Creative Commons. 

Un’altra cosa importante da dire, secondo me, è che le licenze Creative Commons non sono le uniche licenze di opere diverse dal software disponibili. Nelle prime, perché, allora, famosa, antica licenza di opere diverse dal software era la Free Documentation License creata per il progetto GNU, per la documentazione del progetto GNU, che infatti è stata la prima licenza adottata da Wikipedia. 

Quando ancora non c’erano le Creative Commons, o comunque non erano così famose, Wikipedia nasce adottando la Free Documentation License. Poi, successivamente ha fatto switch verso le licenze Creative Commons grazie anche a una collaborazione che è stata fatta tra, si è creato, adesso non entro nei dettagli, un processo di facile migrazione dall’una all’altra con la nuova versione della. Della Blue Free Documentation License che si è applicata a Wikipedia, etc. Questa è una storia però un po’ di dettaglio.

David:

Vorrei concretizzare per chi ci segue quello di cui parliamo citando due o tre situazioni magari io interpreto in una maniera troppo restrittiva e non è vero che la situazione è così tragica come pare a me, mi dirai tu. 

Sono le restrizioni all’attività delle persone private, individuali, nella loro vita quotidiana o nella loro esistenza da turisti. È l’impossibilità di, per esempio, fare la foto in una chiesa ad una scultura o ad un affresco di 500 anni fa, dove magari l’autore fosse vivo, vorremmo Michelangelo e Leonardo potessero vivere 430 anni. Ma sono passati ben più di 70 anni dalla loro morte, eppure ti trovi là. Guardia di turno che dice no non puoi fare le fotografie e tu gli chiedi ma perché perché sono opere protette e tu gli dici no secondo il mio orologio non sono protette e il meglio che riesci fare è di fargli dire che sono protette perché così tu devi comprare le cartoline e quindi la ragione della loro protezione è che così vendono le cartoline e io ho raramente resisto da litigare, arrivando anche al punto di dirgli che non c’è nessun problema, chiamiamo i carabinieri, che naturalmente a Relando non è che aiuterebbero a chiarire la situazione. 

Marco:

Sì, allora una precisazione diciamo, i beni culturali non sono protetti dal diritto d’autore perché ovviamente quando Michelangelo è morto da un po’ d’anni era un po’ stato longevo ma oramai sono passati più di 70 anni da quando è morto. 

L’Italia e pochi altri paesi, la Grecia, l’Egitto, hanno creato un altro diritto che in Italia si chiama diritto sui beni culturali. Diventato e disciplinato agli articoli centosei seguenti del codice di beni culturali. È un diritto molto controverso, molto discutibile. 

In questi giorni eh c’è stata una vicenda decisamente divertente che è finita anche in qualche servizio insomma in televisione ma comunque ci sono molti sullo spiffero, se cerchi trovi, di un’archeologa di Padova che ha vissuto una vicenda paradossale, l’ha raccontata nei dettagli, perché lei cosa ha fatto? 

Lei ha scritto un articolo in una rivista no profit, un articolo scientifico, un archeologa, quindi un articolo di natura archeologica, ha fatto le foto ad alcuni beni culturali e ha chiesto l’autorizzazione a riprodurre queste foto che ha fatto lei, che riproducono dei beni culturali, nell’articolo sulla rivista dei Bambini. Non profit, una rivista senza scopo di lucro, è passata attraverso un processo burocratico che lo descrive come lunghe e-mail, risposta, domanda, risposta, ping pong e ha pagato poi due euro di diritti che le hanno consentito di pagare. 

Il ministero ha guadagnato due euro ma ha speso non so quante centinaia ma certamente molte decine di euro di lavoro per le persone che hanno gestito la pratica eh questo perché? Perché è uscito da poco un nuovo decreto che modifica le interpretazioni precedenti del quadro normativo applicabile e complicando la vita a chi deve pubblicare degli articoli, come è successo a questa archeologa che si chiama Piergiovanna Grossi. 

Ecco, però è anche giusto dire una cosa, che questo quadro normativo, proprio perché controverso, assurdo, limitante oggi, è stato nel tempo modificato diverse volte, quindi all’articolo 108 oggi sono previste alcune eccezioni, quindi in linea di principio, se io vado in un museo e faccio una foto e posto la mia foto dove voglio io, ma senza scopo di lucro, nessuno mi dovrebbe dire niente. 

Opera forse qualcosa di diverso dal quadro normativo di cui stiamo parlando, che tra l’altro si applica solo ad alcuni enti pubblici, quindi non a tutti i beni culturali, ma i beni in custodia di alcune categorie di enti pubblici. Quindi cosa succede nella chiesa nella quale ti impediscono di fare la foto? Probabilmente si esercita un diritto, direi, contrattuale, cioè se vuoi entrare, questo è il biglietto, entri, tra le condizioni c’è quella di non fare foto. 

In effetti oggi in molti musei è più facile che si venga autorizzati a fare foto. Che possono impedire di usare flash per non danneggiare i beni, questo è ovviamente ragionevole, però diciamo che le norme oggi rendono un po’ più facile l’attività del pubblico che vuole fare una foto, mandarla agli amici o a chi gli piace. 

Quindi da una parte c’è questo setto normativo, articoli 106, 108 del decreto del PD, ma da codice dei beni culturali. Dall’altra ci possono essere divieti ulteriori che hanno natura meramente contrattuale, ma comunque non stiamo parlando di diritto d’autore. Ecco, questo, questo, e vabbè mi fermo qua perché…

David: 

La ragione per cui ho fatto questo esempio è proprio perché musei o nazioni a mio avviso in grado di capire dove sta andando il mondo, dando il benvenuto alle fotografie amatoriali di turisti e di appassionati che non fanno altro che fare pubblicità a quel particolare luogo o a quella particolare nazione affinché altri turisti vengano. E l’Italia potrebbe approfittarne che è orgogliosissima delle sue opere d’arte ma in termini di ricavi dal turismo è indietro alla Francia, indietro alla Spagna e quindi dovrebbe darsi da fare con tutti i mezzi possibili inclusi è quello di farsi fotografare. 

Il secondo esempio riguarda quello che penso ancora molti ricordano e si immaginano ancora essere del monopolio della SIAE, che non è più un monopolio da diversi anni, ma quello che io definisco la strage che ha fatto dell’arte spontanea italiana della musica dal vivo che non si sente da nessuna parte in Italia, al di fuori dei concerti organizzati, non esiste che tu vai in un bar e c’è in un angolo allestito un palchetto dove tutte le sere musicisti vanno a suonare proprio perché… la cosa era talmente burocratica e talmente pesante che si faceva prima a non farlo, ecco questo al momento, nonostante quel monopolio non ci sia più, non ha avuto degli effetti, non ho visto un fiorire di musica dal vivo nei locali italiani, confrontandolo con altre nazioni dove effettivamente la musica dal vivo è quasi universale.

Marco:

Ma allora, se posso dire la mia, il venir meno del monopolio forse è complicato, perché oggi quando fai un concerto dal vivo… ti vengono a cercare non solo quelli della Siae ma anche gli altri titolari, le altre società di gestione collettiva, diversi casi che potrei raccontare ma meglio di no. 

Allora, la cosa che posso dire è che la procedura è sinceramente più sempliciotta di qualche anno fa, oggi si riesce a fare anche online. Bisogna solo sapere che quando si organizza un evento con musica bisogna corrispondere i diritti ai titolari dei diritti d’autore sulla musica che viene riprodotta. Quasi giusto, ma dovuto anche negli altri paesi, non è che negli altri paesi non siano dovuti i diritti. 

Quindi adesso non so esprimere un giudizio rispetto al fatto che in Italia sia più caro che in altri paesi. Perché non conosco le tariffe degli altri paesi.

David: 

Adesso è un po’ che non ho verificato, però mi ricordo quando con una delle mie società vent’anni fa si vendeva software. E si doveva andare alla CIA a comprare gli adesivi da appiccicare alle confezioni che dimostrassero la loro originalità per proteggere me contro i pirati e io non potevo dirgli “senti, non mi proteggere va bene lo stesso”. 

Io so che le confezioni che porto io da vendere ai negozi sono originali, non c’è bisogno di tutta questa complicazione. Evidentemente non si poteva. E se tu mi dici che adesso la registrazione… e il corrispondente pagamento dei diritti d’autore di una musica dal vivo è semplice, mi fa molto piacere, magari lo testerò, magari suonerò composizioni mie, magari suonerò qualcosa che non è nemmeno depositato.

Permetto di chiunque registrare, rubare perché lo associo con una licenza Creative Commons zero, che è la settima, mettendolo nel pubblico dominio. E quando si presenteranno gli ispettori a questo punto non solo della SIAE, ma anche delle agenzie alternative. Per rompere le scatole al barista che mi permette di fare l’esperimento, loro mi chiederanno di dimostrare che non c’è bisogno della registrazione corrispondente, che è una evidente impossibilità, soprattutto se mi mettessi a improvvisare, perché non so né suonare né cantare, quindi figurati. 

Sto insistendo su questo perché non solo parliamo evidentemente dei ricavi di cantautori che hanno raggiunto il successo e che meritano. Di ricevere i pagamenti delle royalty, delle canzoni che li hanno resi famosi e che fanno sì che le persone che ascoltano musica chiedano che quelle canzoni vengano suonate. Ma parliamo anche di opportunità di crescita di nuovi artisti, di nuovi talenti, di nuova cultura che devono poter fiorire con il minimo sforzo possibile, perché già fanno fatica in mille maniere e la burocrazia è quella di cui proprio non hanno bisogno perché non è quella che fa crescere l’arte. 

Ed è qui che io vorrei ci fosse una migliore percezione dei pro e dei contro nei quadri normativi di come proteggono quelli che devono guadagnare e tenersi in piedi nonché tutte le infrastrutture che si portano dietro con le royalties e quelli invece che dicono no, io mi sento, voglio solo creare, voglio solo creare cultura.

Marco:

Sì, condivido ma non lo so. Speriamo che le cose vadano meglio in futuro. La burocrazia è lenta per definizione, però negli ultimi anni si sta imparando ad usare sistemi digitali anche per la burocrazia. Credo ci voglia ancora un po’ di… di cultura di come si fanno le cose in modo semplice.

David:

Che spesso non è facile, ci sono aziende che spendono miliardi per cercare di farle cose semplici e facili, per chi farle complicate, raffazzonate è anche più facile. 

Faccio un’altra domanda perché appassionati di informatica il nostro istinto è quello di dire no no ma la soluzione c’è ci sarà e sarà tecnologica perché io ho esperienza personale di quanto i sistemi di marchiatura automatica dei pezzi musicali possano da una parte funzionare male o essere a loro volta abusati, perché il mio canale YouTube ha ricevuto segnalazioni di violazione di diritto d’autore rispetto alle musiche che utilizzo, per esempio da parte di un gruppo musicale vietnamita che ha registrato le proprie canzoni che includevano gli effetti sonori standard inclusi nei pacchetti di editing video e avendo io utilizzato quegli effetti sonori la stupida piattaforma non essendo in grado di seguire un ragionamento di buon senso ha detto Davide ha rubato la canzone dei vietnamiti perché il suo video contiene un boing boing di qualche tipo che anche quelli hanno evidentemente falsamente protetto. 

Questo quindi ti illustra la complessità di un sistema automatico. E entriamo in un tema, poi mi dirai quando devi andare, perché non voglio abusare troppo del tuo tempo, ma è un tema enorme, che è il tema della generazione di arte, della generazione di cultura da parte di sistemi di intelligenza artificiale. Che non esistevano fino ad un anno fa e che oggi hanno creato un’esplosione di creatività essendo stati addestrati evidentemente sulla cultura umana di tutti i tipi e ci sono già delle cause in corso negli Stati Uniti che cercheranno di stabilire se l’addestramento dei sistemi e quindi le immagini generate da sistemi così addestrati, via il copyright originario, oppure rientra nella nozione americana di fair use, e vedremo cosa ne esce. 

Ecco, come vedi questa nuova frontiera dell’esplorazione della creatività e della cultura aperta, quindi?

Marco:

Io la vedo molto interessante, ovviamente sono cose che si stanno studiando in questo momento, quello che ti posso dire è che al momento le cose certe che ci sono sono le norme e ci sono posti come l’Europa dove ci sono norme nuove e interessanti. Per esempio da noi in Italia in attuazione della direttiva 2019-790, articoli 3 e 4, ci sono gli articoli 73 e 74 della legge sul diritto d’autore che prevedono cose interessanti. 

L’articolo 70 ter dice che è legittimo estrarre dati e testi da opere tutelate dal diritto d’autore e altri diritti connessi con lo scopo di svolgere attività di ricerca su sistemi di intelligenza artificiale. Puoi usare per quello che chiamano addestramento, che più correttamente bisognerebbe chiamare calibrazione di sistemi di intelligenza artificiale, testi e dati che sono protetti dal diritto d’autore e da altri diritti perché abbiamo in Europa un articolo che protegge. 

Nel caso in cui tu lo faccia per finalità di ricerca scientifica. Poi c’è il 74 che dice se tu fai la stessa cosa, quindi estrazione dei dati testi per finalità di sviluppo di training di sistemi di intelligenza artificiale, anche per altri fini, incluso quello commerciale, quindi se tu lo fai per farti il tuo sistema GPT, large language model, che viene utilizzato su chat GPT per dire, no? Puoi farlo, quindi è legittimo che tu usi testi e dati estratti da opere tutelate dal diritto d’autore, a meno che il titolare dei diritti non si sia espressamente riservato il diritto di consentire estrazione di dati di testi. 

Questa cosa ancora non si sa tanto, però è importante. Se qualcuno vuole vietare che si usino le proprie opere… Per estrarre testi e dati lo deve scrivere, lo deve aggiungere alla propria opera. Questo è molto importante perché si capisce l’intenzione del legislatore che è quella di favorire, semplificare la vita di chi vuole fare addestramento, calibrazione di sistemi di intelligenza artificiale utilizzando opere tutelate dal diritto d’autore. 

Però non è detto che tutti siano d’accordo. In certi casi forse non voglio e quindi è importante sapere che ci si può riservare il diritto, escludere la facoltà a terzi di usare le proprie opere e questa è molto interessante questa norma perché perché da questo punto di vista rende le cose più chiare in Europa di quanto non lo siano in questo momento negli Stati Uniti d’America, perché sì, è ragionevole dire negli Stati Uniti d’America che si applica il Fair Use, però vedremo cosa dicono i giudici, ci sono delle cause in corso. 

Quando parli di sistemi di intelligenza artificiale e cultura, poi bisogna valutare anche l’output, quello che tiri fuori da un sistema. La foto, fammi una foto di David con dietro dei CD-ROM, libri, un microfono davanti, ecco, cosa mi tirerà fuori? Ecco, quella cosa che tira fuori il sistema. È tutelata da un diritto? Di chi è il diritto? Di Marco che ha interrogato il sistema o dell’autore del sistema? Queste sono le domande aperte, se poi la risposta più ragionevole è che il titolare dei diritti sia la persona che ha creato il sistema, ma non è il diritto quindi chi ha fatto la domanda al sistema. 

C’è enorme differenza tra usare… Sì, c’è della differenza, ma concettualmente non tantissima nel fatto che io usi un sistema di intelligenza artificiale per fare un lavoro. Un disegno, una foto o un testo rispetto al caso in cui pigi sulla tastiera usando LibreOffice perché io non uso il software proprietario, ovviamente, quindi uso LibreOffice per scrivere un documento. È utilizzata da una persona e il diritto d’autore, la definizione di opera tutelata dal diritto d’autore, articolo 2 della legge sul diritto d’autore, legge 633 del 1941, opera dell’ingegno di carattere creativo, quindi mettiamo un attimo in un angolo la valutazione della natura creativa dell’opera, però un requisito essenziale, un requisito dell’opera tutelata dal diritto d’autore che venga dall’ingegno, dalla testa di qualcuno. 

Quindi chi è il titolare dei diritti su un’opera? Come regola generale la persona sulle cui gambe sta la testa che ha prodotto l’opera. Però anche lì si dibatte, si discute, si argomenta e si valuta la luce dei diritti applicabili in diversi paesi. Questa per me è una risposta abbastanza… Mi sento tranquillo nel dire che in Italia le cose stanno così, ma non posso escludere che da qualche parte venga fuori una sentenza che dice qualcosa di diverso. 

Terzo profilo che entra in gioco quando si parla di sistemi di intelligenza artificiale è la tutela dei sistemi in sé. Il sistema di intelligenza artificiale è tutelato da che diritti? E qui la cosa interessante è che negli Stati Uniti è più difficile dire che il sistema, la base di dati compesi, elenchi database del sistema calibrato, è difficile dire che sia tutelato dal diritto d’autore. 

Perché le basi di dati negli Stati Uniti non sono tutelate dal diritto d’autore, né da altri diritti, sono tutelati al limite del software, il framework che si utilizza per la gestione, generazione, la calibrazione del sistema, i tool di uso del sistema che sono codice, software, ma il sistema in sé negli Stati Uniti è dura.

David:

Infatti per entrare un attimo nel merito c’è anche qui tutta una gamma di soluzioni già disponibili dove OpenAI contrariamente al nome non è rilasciato niente di disponibile a nessuno, al massimo ci si può interfacciare.

Marco:

Fino alla 3.5 OpenAI rilasciava con licenza libera i sistemi senza i pesi però e senza i dati.

David:  

Senza i dati e senza i pesi. E un promotore sorprendentemente attivo invece che continua a rilasciare modelli sempre più potenti è Meta con i vari animali sudamericani, i lama che… che sono i nomi dei suoi modelli e relativamente recentemente ha fatto una nuova mossa gli Emirati Arabi Uniti. Che hanno rilasciato Falcon e a quel punto hanno rilasciato anche i pesi.

Marco:

C’è qualcosa di molto interessante in tutto questo, bisogna fare attenzione però perché LAMA non ha una licenza di software libero open source, è una licenza con alcuni limiti di natura. Eh non è non è non è la licenza applicata là ma non è coerente, non è compatibile con la definizione né di software libero né di open source. 

Stesso discorso per la Falcon centottanta, l’ultima versione che è una paci modificata, la licenza che si applica a Falcon l’ultima versione. Falcon quaranta invece la versione precedente era con Apaci, era con licenza libera. 

Allora comunque qui il tema è ampio e se ne potrebbe parlare a lungo, quindi i distinguo da fare sono molti, ma c’è questa cosa che indubbiamente è molto interessante. OpenAI nasceva per rilasciare liberamente, OpenAI si chiamava, poi a un certo punto quando hanno detto no no basta è troppo pericoloso quello che facciamo non possiamo più renderlo disponibile con licenza libera questa è la spiegazione che è stata fornita dall’azienda quindi allora che cosa c’è qui c’è qualcosa di straordinariamente interessante cioè il modello di nuovo, poi qualcuno le interpreta e dice no ma le mie sono quasi libere ma vanno bene lo stesso. 

Il modello attrae, ha dei vantaggi, ha dei vantaggi. Primo, ci sono articoli che documentano, parlano. Della maggiore velocità con la quale si implementano miglioramenti ai sistemi disponibili liberamente. E l’altra cosa ovviamente, se un sistema è disponibile liberamente è utilizzato dalle comunità di persone che ci lavorano, è più facile che diventi uno strumento conosciuto e che quindi si costruiscano intorno ai loro obiettivi. 

Delle comunità, di persone che li sanno usare. Quindi c’è una corsa all’uso. I second camera in questo momento stanno giocando col modello aperto e io lo trovo molto interessante perché io faccio il tifo perché si intende. Vinca il modello aperto, perché è la strada per garantire sistemi che in misura crescente saranno studiati, comprensibili, spiegabili. 

Se chiudiamo, io non so perché dovremmo usare sistemi di intelligenza artificiale chiusi, che non possiamo spiegare, non possiamo capire, che rischiano di produrre posizioni di oligopolio, di controllo pericoloso per la sostenibilità della società. Personalmente credo che vada favorito in tutti i modi possibili il modello aperto nello sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale.

David:

Max Tegmark, che è un ricercatore del MIT ed ha organizzato delle conferenze a Porto Rico, a cui anch’io sono stato invitato per la sicurezza e la the safety and security, quindi la sicurezza e la capacità di non nuocere dei sistemi di intelligenza artificiale generale, e recentemente ha proposto un approccio molto radicale, che permette effettivamente di portare avanti lo sviluppo dei sistemi anche molto avanzati ma che possa eliminare la possibilità di un loro tragico, drammatico malfunzionamento ed è un approccio informatico completamente nuovo che si basa sulla capacità di dimostrare i perimetri d’azione di una serie di algoritmi e della garanzia che rimangano all’interno di quel perimetro. 

Il momento è particolarmente delicato proprio perché si tratti di studiare diligentemente da parte del numero massimo possibile di esperti ed appassionati. Codice aperto, reso disponibile, a prescindere da quanto potente sia il sistema che può girare su quel codice. O, dall’altra parte, rifondare l’informatica, come di fatto sta proponendo Max Tegmark. Entrambi gli approcci hanno bisogno di tempo e non sappiamo quanto tempo abbiamo a disposizione. 

Nel mentre… OpenAI, Google e tutti gli altri, adesso anche Twitter/X, vanno avanti a sviluppare i loro sistemi proprietari, cercando di far sì che siano assenti i danni che possono produrre, ma senza poterlo sicuramente garantire.

Marco:

C’è anche il contesto normativo di cui bisogna tener conto, non è che tu puoi usare un sistema non trasparente per tutto. Adesso in Italia, in Europa, dovrebbe arrivare a conclusione il processo di elaborazione dell’AI Act, l’Acto sull’intelligenza artificiale, che prevede dei requisiti. 

Ti faccio due esempi. l’articolo 22 del GDPR dice che qualunque decisione che riguarda una persona che ha effetti su quella persona deve essere adottata, se viene adottata, se l’interessato richiede spiegazioni della logica. La devi dire, gliela devi spiegare. 

Se usi un sistema che non è trasparente, come fai a spiegare la logica? L’uso di sistemi per prendere decisioni sulle persone è un problema. Secondo caso, noi abbiamo in Italia un set di norme e un orientamento giurisprudenziale del Lazio e Consiglio di Stato che prevedono che quando una pubblica amministrazione attua un procedimento amministrativo, può in essere un procedimento amministrativo automatizzato utilizzando software, se qualcuno alza il ditino ha il diritto di avere accesso al codice sorgente utilizzato per la pubblicazione. 

Per il procedimento amministrativo, perché la persona ha diritto a conoscere la logica sottostante al procedimento amministrativo.

David:

A prescindere dalla fattibilità, evidentemente. Il legislatore non si è reso conto di quello che sta proponendo.

Marco: 

No, il legislatore dice giustamente che quando si adottano procedimenti si fa in maniera ragionevole e spiegabile. Quindi se tu vuoi usare i dadi, non puoi, devi spiegare, non è che noi abbiamo tirato i dadi, no, quindi ci vuole una spiegazione e se tu non sei in grado di spiegare fai in un altro modo. Non puoi usare un software che non sei in grado di spiegare, che non è spiegabile per adottare procedimenti amministrativi, penso io.

David:

E’ già stata invocata questa particolare clausola della legge, ci sono già stati esempi.

Marco:

Per il software ci sono diversi procedimenti, non c’è un orientamento univoco, però c’è un orientamento solido C’è il caso, per esempio, nel procedimento di assegnazione delle cattedre ai professori delle scuole, questo era stato abbastanza famoso, che veniva realizzato con un software e qualcuno ha chiesto di dare il codice, l’amministrazione ha detto che non poteva e il giudice ha detto no glielo date e così è.

David:  

E per quanto riguarda l’IA generativo non c’è ancora stato.

Marco:

Ma nessuno sta usando delle AI, cioè anche in considerazione di questo io non credo che ancora per un po’ ci sarà qualcuno che avrà voglia di usare dell’AI generativa per prendere decisioni che riguardano le persone, lo trovo altamente improbabile.

David:

In effetti anche negli Stati Uniti ci sono esempi al contrario, dove magari ci sono stati prototipi, come quello di Amazon per la selezione del personale, che poi sono stati cassati, perché hanno visto che era troppo rischioso e il gioco non valeva la candela. 

Ritornando all’aspetto della cultura aperta, ci sarà da vedere e capire come questo vaso di Pandora che abbiamo aperto e che non potrà che aumentare enormemente la produzione di opere d’ingegno da parte di coloro che scrivono l’input per poi ottenere immagini, ma anche filmati e tra qualche anno oggetti stampati in 3D e fra qualche anno ancora case che si assemblano con la nanotecnologia o chissà che, ecco vedremo come si evolveranno anche le nostre aspettative rispetto a questa super abbondanza. 

Oggi io sono perfettamente in grado di passare mezz’ora davanti allo schermo a scegliere che cosa guardare e poi non guardare niente perché ho talmente alzato l’asticella che ho fatto un film o una serie che qualche anno fa mi sarei tranquillamente accontentato di guardare, adesso per qualche ragione psicologica non basta più. E sarà, secondo me, molto interessante vedere questa super abbondanza di creatività in cui ci immergeremo, che cosa ci farà. Che effetti avrà sulla nostra percezione anche del valore di queste creazioni e del mondo che ci circonda. 

Marco, io ti ringrazio tantissimo per questa conversazione per ricapitolare l’opportunità di approfondimento delle persone che seguono le attività del chapter della Singularity University di Milano e affinché possano prepararsi alla serata che passeremo insieme anche agli altri speaker che parleranno di hardware aperto e di software aperto e di preparare anche le loro domande. 

Perché poi in una maniera molto interattiva avremo modo di ricevere domande, votare le domande e rispondere quindi alle domande più interessanti che sono quelle più votate che arrivano dai dai partecipanti. E quindi ti ringrazio per aver permesso a loro di portarsi avanti in questo impegno di prepararsi alla serata e ci rivedremo quindi il 28 novembre alle 6 con anche gli altri speaker. A presto. 

Grazie a tutti per aver seguito questa puntata di Qual è la domanda live. Nei prossimi giorni faremo simili approfondimenti con gli altri speaker della serata dedicata al software aperto, hardware aperto e cultura aperta e quindi vi aspetto.