Astropolitica

Ho ospitato una nuova puntata di “Qual è la domanda” live, in cui ho parlato di spazio con il giornalista Emilio Cozzi. Abbiamo discusso del concetto di astropolitica, cioè di come lo spazio non sia una piattaforma neutrale ma un luogo dove interessi economici, politici e opportunità di competizione si moltiplicano, essendo oggi aperto non solo a stati-nazione ma a tutti.

Abbiamo poi parlato della collaborazione tra NASA ed ESA, ma anche del desiderio europeo di avere propri asset strategici come il sistema di navigazione Galileo. Emilio illustrato il valore strategico di tecnologie, orbite e capacità di protezione dei satelliti, da cui dipendono telecomunicazioni, osservazione, economia.

Guardando ai prossimi 10 anni, Emilio prevede un ritorno sulla Luna di USA e alleati o Cina, l’emergere di un terzo blocco India-BRICS, e la primazia di SpaceX, che sta rivoluzionando il settore coi razzi riutilizzabili.

A 50 anni, immaginiamo sfruttamento di risorse lunari, stazioni spaziali private, industria pesante in orbita, forse competizione, ma anche collaborazione per vincere insieme le sfide dello spazio.

Ecco una trascrizione revisionata della nostra conversazione.

David: Che cos’è l’astropolitica? Per me astropolitica significa capire che lo spazio non è una piattaforma neutrale, bensì un luogo dove si moltiplicano interessi economici, politici e opportunità di competizione e confronto, che si spera rimanga sempre pacifico. Perché nello spazio oggi non sono presenti solo stati-nazione come gli Stati Uniti o l’ex Unione Sovietica di qualche decennio fa, ma è aperto a tutti. Ci sono persino licei che lanciano satelliti. Sarà quindi molto interessante capire le implicazioni di questa trasformazione e in che situazione si trovano l’Europa e l’Italia. Ne parleremo con l’amico Emilio Cozzi, giornalista a cui do il benvenuto. Eccoti Emilio.

Emilio: Buonasera David, buonasera a tutti, è un piacere essere qui.

David: Partiamo col raccontare un po’ la tua storia. Da giornalista ti sei orientato verso diversi temi e aree da trattare nelle testate con cui collabori. Che cosa ti ha avvicinato allo spazio?

Emilio: È una domanda più difficile di quanto sembri. Mi hanno avvicinato allo spazio diversi motivi. Il primo è sicuramente una passione che nutro fin da piccolo, come immagino tante ragazze e ragazzi, perché lo spazio esercita ancora oggi una grande fascinazione per quanto riguarda l’esplorazione, l’avventura, e ciò che è sconosciuto e incommensurabile. Come dicevi tu all’inizio, l’ignoto attrae il genere umano da sempre, e meno male, altrimenti saremmo rimasti fermi alle risorse disponibili in Africa. L’altro motivo, dal punto di vista giornalistico, è che ho percepito già una decina di anni fa come lo spazio non solo sarebbe tornato a occupare un posto rilevante nell’agenda internazionale, ma lo avrebbe fatto con un ruolo di crescente importanza. E so che ne parleremo. Di crescente importanza non solo per il settore spaziale in sé, ma per le nostre vite quotidiane. Oggi, anche se non tutti lo sanno, lo spazio incide tantissimo nelle nostre attività di ogni giorno, nell’economia, nei servizi che usiamo. Faccio l’esempio banale del GPS che abbiamo in tasca. Il GPS è in realtà una costellazione di satelliti, inizialmente ad uso militare, che gli Stati Uniti solo in un secondo momento hanno reso disponibile a tutti. Ecco, senza il GPS oggi non potremmo fare tante cose, banalmente. Il traffico aereo e marittimo dovrebbe tornare indietro di decenni, affidarsi a sistemi come il VOR usato dagli aerei fino a 50-60 anni fa. Questo non solo creerebbe difficoltà serie, ma rallenterebbe davvero la nostra vita, senza entrare in aspetti economici o finanziari. Ma lo spazio ci entra eccome, contrariamente a quanto si possa pensare. Per cui ho colto questa rilevanza. Io mi occupavo già da tempo di tecnologia, in particolare di videogiochi. Sembrano due argomenti molto lontani, invece in entrambi i casi si tratta di andare oltre i confini. Perciò dico che per mestiere mi occupo di chi va oltre i confini.

David: Mi fa molto piacere che proponendo i tuoi temi a vari editori, testate e anche in televisione, hai trovato spazi che ti hanno accolto. Cioè nessuno, o perlomeno non tutti, ti ha detto “I nostri lettori o ascoltatori non sono interessati”. Non ti sei arreso e hai trovato chi ti ha detto di sì, raccontiamo queste cose.

Emilio: Hai perfettamente ragione, non è stato facile e non lo è ancora, perché stiamo comunque parlando di un argomento percepito come molto distante dalla nostra quotidianità, sebbene come dicevo non lo sia affatto. E poi perché è un tema che solo adesso sta cominciando ad entrare davvero nel discorso pubblico. Detto questo, ho trovato testate molto sensibili, penso a Wired, all’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) per cui scrivo spesso. Ma anche in televisione. Un paio di anni fa ho iniziato un’avventura con la casa di produzione Libero Produzioni Televisive, che è stata molto aperta a questo argomento. Siamo riusciti a realizzare due stagioni di un programma intitolato “Spacewalks”, andate in onda su Rai4. Adesso invece ho un programma coprodotto da Sky TG24, si intitola “Countdown”, recuperabile anche da chi non è abbonato a Sky. È un programma di 10 minuti a settimana e c’è un motivo per cui dura 10 minuti, ora lo spiego. In questi 10 minuti proviamo ad approfondire sostanzialmente i motivi per cui sia importante andare nello spazio per la vita di noi che nello spazio probabilmente non andremo mai. È un po’ il motivo di cui parlavo prima. Perché 10 minuti? Perché 10 minuti sono all’incirca il tempo che impiega un razzo per andare in orbita terrestre. Per cui nello stesso lasso di tempo, sfidando noi stessi, vogliamo raccontare perché sia importante andare in orbita e fare tutto ciò che donne e uomini fanno lassù. Quindi sì, c’è “Countdown”, c’è stata la Rai all’inizio e per fortuna ci sono sempre più testate e persone che ritengono interessante lo spazio. I motivi sono tanti. Rimane l’aspetto emotivo e avventuroso, un po’ di quell’alone legato anche alla fantascienza. In qualche modo associamo lo spazio al futuro. Ed è vero per certi versi, perché nello spazio costruiremo le tecnologie che useremo. Ma in realtà è anche molto presente, come dicevo prima.

David: Ti faccio adesso la terza domanda, promettendo di non ripetere per la terza volta che tu e io non andremo mai nello spazio. Hai ragione, ti chiedo scusa, anche perché io sinceramente ci spero di andarci. Quindi il tuo mantra non dev’essere “Io non andrò mai nello spazio”. Il tuo mantra dev’essere “Io andrò nello spazio”! Bisogna capire quando. 

Emilio: Hai perfettamente ragione. Ma su questo argomento, che può suonare come una battuta, so che sei serissimo e lo sono anch’io. In realtà si cristallizza uno dei temi nuovi dello spazio, perché adesso potrebbe sembrare uno scherzo, ma se alcune cose si incastrano non è da escludere che fra 10, 15, 20, 30 anni un giro nello spazio possa essere accessibile se non a tutti, almeno a sempre più persone. Perché i costi di lancio per chilogrammo stanno diminuendo drasticamente. E questo è uno dei temi fondamentali della nuova rivoluzione spaziale. Qualcuno la chiama New Space Economy. E in questo senso è assolutamente vero. Ma se vuoi entriamo più nel dettaglio.

David: Cominciamo ad avvicinarci al tema o al titolo della conversazione partendo dalla collaborazione tra Stati Uniti ed Europa, tra NASA ed ESA. È una collaborazione decennale, molto fruttuosa, che si articola in aspetti scientifici, tecnologici, di grandi commesse industriali e di vari programmi di lancio reciprocamente vantaggiosi. Il James Webb Space Telescope, il telescopio spaziale di ultima generazione il cui lancio era particolarmente delicato, con più di 400 passaggi di apertura di cui bastava fallirne uno per mandare tutto all’aria, ecco, è stato costruito dalla NASA e portato in orbita dall’ESA con un vettore Ariane. 

Emilio: Sì, in quel caso è vero, corretto.

David: Quindi ci sono grandi collaborazioni. Nello stesso tempo, ad un certo punto l’Europa ha deciso di avere il proprio GPS, lanciando Galileo. Tra l’altro non so se hai sentito che Steve Jurvetson, il primo investitore in Tesla e SpaceX, ha annunciato di aver investito in una startup, ancora agli inizi, che comincerà a prendere slancio proprio con i suoi fondi. Si propone di lanciare un nuovo sistema compatibile con il GPS, ma su orbite basse, non geostazionarie. Quindi ha bisogno di una flotta molto ampia di satelliti e darà una precisione di 2 cm, funzionando anche all’interno degli edifici. 

Emilio: L’astropolitica, come dicevi tu all’inizio di questa diretta, è un neologismo, un termine relativamente recente, che evidentemente arriva, se non altro per assonanza, dalla geopolitica. Ma in sé è una contraddizione di termini, perché come possiamo fare politica o pensare una politica laddove non esistono confini? Nello spazio i confini non ci sono e già questo complica tutto. Tenterò di sintetizzare. Direi che l’astropolitica è in qualche modo una riflessione, o vorrebbe esserlo, su come il progressivo avanzamento nello spazio dei singoli paesi, degli organi internazionali o sovranazionali, produce conseguenze sulla rilevanza politica globale qui sulla Terra. La faccio breve. Quasi sempre, non sempre ma quasi, le tecnologie spaziali sono di tipo duale, come si dice in gergo. Cioè possono servire sia esigenze e necessità civili, sia militari. Come dice un mio collega, Marcello Spagnolo, i satelliti di osservazione della Terra, che sono preziosissimi, e per cui l’Europa è leader mondiale in termini di qualità dei servizi e delle tecnologie, ecco, sono quei satelliti che ci permettono letteralmente di guardare il nostro pianeta. Possono essere fondamentali per lo studio dell’atmosfera, dei movimenti sulla Terra (non solo della crosta o dei ghiacci, ma anche delle infrastrutture, dei ponti), per qualsiasi tipo di monitoraggio. Benissimo. Ma possono essere evidentemente presentati anche, eufemisticamente, come satelliti spia. Perché se io prendo James Webb e invece di puntarlo verso lo spazio profondo lo rivolgo verso la Terra, mi permette di vedere buona parte delle aree che possono interessare una nazione o l’altra. Ecco, in questo senso capirete quanto una tecnologia spaziale avanzatissima, quanto il presidio di certe orbite (parliamo di quelle geostazionarie, le più contese perché da lì arrivano ad esempio le telecomunicazioni), quanto la capacità di proteggere i propri asset satellitari da eventuali attacchi o anche solo da una tempesta solare, possa avere un rilievo fondamentale e strategico per la vita qui sulla Terra. Ricordiamo che attraverso i satelliti passa una quantità di informazioni in costante, enorme crescita. Pensate a un domani: come potranno funzionare non solo le telecomunicazioni (come dicevo prima), pensate a internet, a costellazioni come Starlink che non a caso si sono rivelate preziosissime e cruciali in un contesto bellico come quello in Ucraina. Pensate al fatto di perdere improvvisamente la capacità di comunicare con le vostre truppe, esattamente quello che stava succedendo in Ucraina. Pensate all’incapacità di coordinarle o di fornire un bersaglio preciso alle vostre armi. Pensate all’incapacità di parlarvi o di muovere semplicemente l’economia, perché i movimenti finanziari, le microtransazioni avvengono e avverranno sempre di più attraverso lo spazio. Ecco, questa incapacità si tradurrebbe in una fragilità enorme qui sulla Terra. E questo significa che anche paesi senza particolari ambizioni o tradizioni spaziali, o addirittura gruppi di malintenzionati con attacchi hacker, senza neanche avere quei sistemi chiamati ASAT (antisatellite), oggi testati solo da Stati Uniti, Russia, Cina e India, ecco, anche senza quel tipo di armi, pensate quanto un piccolo paese o un’organizzazione malevola sarebbe in grado di mettere in ginocchio una superpotenza. Questa è l’astropolitica: quanto il mio potere, letteralmente la mia sovranità, sia tutelabile o tutelata attraverso le attività, gli asset e le tecnologie spaziali. È evidente che su questo piano qualcuno dice che si combatteranno le guerre del futuro. Io temo che qualcosa si sia già intravisto adesso. Ma se vuoi poi ne parliamo.

David: Lo spazio ha anche delle differenze importanti rispetto ai contrasti o conflitti del passato. Innanzitutto è un ambiente tuttora molto complicato da gestire. Qualche anno fa ho preso la licenza da sub e la cosa che mi ha fatto più piacere è stata riconoscere analogie con l’ambiente spaziale. Quando ti metti le bombole, sono pesanti, poi ti butti in acqua e stai vedendo come se non ci fosse gravità. Dipendi dalla tecnologia in un ambiente pronto a ucciderti rapidamente nel momento in cui la tecnologia non ti viene in soccorso. Quindi invito tutti quelli che vogliono capire com’è andare nello spazio a fare i sub, perché invece di spendere 50 milioni spendono 50 euro e fanno un bel tuffo per assaporarlo. Tra l’altro l’analogia regge, perché ho visitato il centro NASA a Houston e ho visto l’addestramento degli astronauti. Hanno una gigantesca piscina con una sezione della Stazione Spaziale Internazionale su cui, con l’assistenza di sub in modo da non incorrere in problemi gravi in caso di emergenza, stanno lì per ore ad allenarsi a fare esattamente le operazioni che poi faranno nello spazio. Quindi è un’analogia che ho trovato, ma che in realtà è un po’ di più, è proprio un metodo.

Emilio: Hai perfettamente ragione, con una piccola differenza. Tu hai parlato dell’acqua come un ambiente ostile pronto a ucciderci, verissimo. Bene, per far capire quanto sia ancora più complesso lo spazio, lo spazio è persino più ostile dell’acqua. Una donna o un uomo senza neanche l’autorespiratore nell’acqua, magari un apneista, potrebbe resistere qualche minuto. Nello spazio, senza una tuta spaziale, anche il miglior atleta della Terra sopravvivrebbe sì e no una ventina di secondi.

David: Relativamente al nostro tema, cioè come economia, interessi nazionali, continentali, planetari, stanno invadendo lo spazio (fra virgolette), un’altra differenza importante consiste nella pericolosità degli esperimenti di distruzione dei satelliti che hai detto si sono già fatti. Potrebbero ingenerare quello che si chiama il Kessler Syndrome, la sindrome di Kessler: la distruzione progressiva non solo del satellite obiettivo ma di altri, perché i pezzettini che volano poi diventano proiettili. Quindi la saturazione di orbite che creano quasi un ombrello sulla Terra, senza permetterci per decenni di andare su, perché chiunque volesse attraversare questo velo di detriti verrebbe annientato.

E quindi è molto pregnante di conseguenze anche l’eventuale decisione di far partire un conflitto che mira alla distruzione cinetica dei satelliti di un potenziale futuro nemico. Quali sono, secondo te, nel medio termine, diciamo dieci anni, le più importanti evoluzioni che vedremo dal punto di vista delle capacità dei vari blocchi – Stati Uniti, Europa, Cina, magari anche India e naturalmente la Russia? Che tendenze vedi come più importanti, che eventualmente possono cambiare gli equilibri e le regole del gioco?

Emilio: Entro i prossimi dieci anni è molto probabile, anzi direi sicuro, che qualcuno tornerà a mettere piede sulla Luna. Dico qualcuno senza specificare se sarà la Cina o se saranno gli Stati Uniti, perché francamente ad oggi non saprei rispondere. Detto questo, ho già parzialmente svelato quello che sta succedendo: stiamo letteralmente vivendo una seconda space race, simile alla prima che contrappose Stati Uniti e Unione Sovietica e che si risolse sostanzialmente con l’arrivo sulla Luna del programma Apollo. Ma stavolta al posto dell’Unione Sovietica c’è la Cina a fare da paese antagonista, mi dispiace usare questi termini, poi tenterò di smussarli, alla corsa occidentale. Corsa occidentale perché gli Stati Uniti, a differenza del programma Apollo, in questo caso saranno coadiuvati da una serie di altri paesi che hanno sottoscritto i famosi Artemis Accords, cioè una serie di accordi che in qualche modo orienteranno l’utilizzo delle eventuali risorse lunari e i comportamenti che ogni nazione si impegna a rispettare una volta sulla Luna. Dall’altra parte la Cina ha già raccolto l’adesione e l’interesse della Russia, dell’Arabia Saudita e in maniera più o meno interessata, a seconda delle cose in ballo, di un’altra serie di paesi, il primo che mi viene in mente sono gli Emirati Arabi Uniti, che tengono il piede in due scarpe. Questo secondo me suggerisce un terzo elemento di cui parleremo dopo. Io non sono così convinto che il futuro si giocherà fra due superpotenze o blocchi spaziali. Non escludo che ci sarà un terzo blocco, molto probabilmente costituito da paesi come l’India, i BRICS, quindi anche il Brasile e tanto Sud America, che potrebbero non solo avere ambizioni spaziali, cosa che già rivendicano, ma non necessariamente affiliarsi all’uno o all’altro blocco e magari avere delle proprie ambizioni. E l’Europa, così tento di risponderti alla prima domanda, l’Europa come giustamente dicevi ha una leadership dal punto di vista tecnico-industriale indiscussa e indiscutibile. L’Europa fa le migliori missioni scientifiche nello spazio in assoluto. La settimana scorsa è partita Earthcare, che sarà una missione deputata a studiare gli aerosol, sostanzialmente le nostre nuvole, per capire la profondissima e complicatissima interazione fra aerosol, nuvole e temperatura terrestre. Voi capite quanto questo tema, rispetto al riscaldamento globale, sia cruciale per chi sta qua sulla Terra e non per chi volerà nello spazio, tra i quali ci saremo anche tu ed io caro David. Però rimettiamoci a coloro i quali staranno qui sulla Terra. Una missione di questo tipo, europea, in questo caso in realtà con la collaborazione giapponese della JAXA, fa capire quanto l’Europa, così come James Webb, così come la missione Euclid partita mesi fa per studiare la materia oscura, siano fondamentali e dicano quanto l’Europa è valida. Ben diverso è il peso astropolitico dell’Europa, che mi dispiace dirlo, fino a 10-15 anni fa aveva un certo tipo di rilievo e oggi ne ha molto meno. Faccio un esempio che credo possa dire tante cose: sebbene l’Europa stia contribuendo al programma Artemis con la realizzazione del modulo di servizio (European Service Module) attaccato alla capsula Orion (la capsula che trasporterà gli astronauti verso la Luna), che serve a fornire elettricità, aria, energia, tutto quello che serve alla sopravvivenza dell’Orion e del suo equipaggio, nonostante questa profonda e fondamentale collaborazione, la prima persona non americana che calpesterà la Luna sarà giapponese e non europea. Questo è stato annunciato da Biden e da Willie Nelson, l’amministratore della NASA, un mese fa. Dice quanto purtroppo l’Europa abbia perso a livello astropolitico. Aggiungo, purtroppo per noi, l’Europa in questo momento, ed è così dal luglio 2023, non ha un accesso autonomo allo spazio. Come dicevi giustamente, James Webb è stato un grande successo con un volo perfetto di Ariane 5, uno degli ultimi voli di Ariane 5, il lanciatore pesante dell’Europa. Ariane 5 è stato letteralmente pensionato a luglio dell’anno scorso. Avevamo pronto, o meglio avremmo dovuto avere pronto, Ariane 6 dal 2020. Ariane 6 non è ancora partito, si spera partirà con il primo lancio inaugurale il 9 luglio. Nel frattempo, complice anche il fatto che la Russia ci abbia privato del razzo Soyuz che noi usavamo dallo spazioporto europeo in Guyana francese con grandissimo ritmo, non ce l’abbiamo più. Complice anche il fatto che il nostro razzo italiano, il Vega C, evoluzione del Vega, abbia avuto un failure, un fallimento nel primo lancio commerciale nel dicembre 2022, la faccio breve: l’Europa da più di un anno non è in grado, con propri mezzi, di lanciare propri satelliti in orbita. Cos’è successo? Per portare in orbita due satelliti della costellazione Galileo, che è strategica, fa parte del programma PNT (Positioning, Navigation and Timing) dell’Europa, perché è una costellazione della comunità europea, ecco per portare in orbita due satelliti di nuova generazione Galileo abbiamo usato SpaceX, cioè Elon Musk. Un’azienda privata americana ha portato in orbita due satelliti strategici da cui dipende la sovranità europea. Questo purtroppo oggi è l’Europa. Per cui grandissimo rilievo e grandissima qualità tecnico-scientifica, direi non altrettanto dal punto di vista della rappresentanza politica. Non è un caso che la settimana scorsa ci sia stato lo Space Council a Bruxelles, in occasione del ventesimo anniversario dell’accordo quadro tra ESA e Unione Europea, e abbiano fatto una serie di conclusioni tra cui lo Zero Debris Charter. A proposito di un altro argomento di cui parlavi, l’ASD, l’associazione di categoria di tutte le industrie aerospaziali europee, che peraltro accorpa il 70% della forza lavoro dedicata allo spazio in Europa, ha detto che le vostre conclusioni non prendono in seria considerazione come siamo messi, non prendono in seria considerazione il fatto che gli Stati Uniti, soprattutto a livello industriale, ci stiano letteralmente radendo al suolo.

David: Hai introdotto uno degli elementi della dinamica che si presenterà in modo ancora più preponderante nei prossimi dieci anni e che sta stravolgendo i conti dei burocrati increduli rispetto allo sviluppo tecnologico in cui non credevano e in cui apparentemente non credono tuttora. Perché la riduzione dei costi di lancio per chilogrammo utile in orbita è provocata in buona parte semplicemente dalla curva di apprendimento, quindi più lanci, lanci migliori. Ma in maniera straordinaria anche dalla rivoluzione dei razzi riutilizzabili che SpaceX ha iniziato e che sta portando avanti.

Emilio: Mi permetto di interromperti perché riparto da qua e ti rispondo alla domanda precedente. Tu mi hai detto quali sono le cose più importanti. Ho parlato di ritorno alla Luna. Ritorno alla Luna vuol dire sia per gli Stati Uniti con i loro alleati, sia per Cina, Russia ecc. Torniamo sulla Luna e attenzione, questa volta, come dice la NASA, per restarci. Perché stare sulla Luna non solo abiliterebbe una serie di innovazioni tecnico-scientifiche che possiamo riportarci subito a Terra, ma anche prima o poi, per questioni economiche e quindi ancora una volta astropolitiche, cioè per lo sfruttamento delle risorse che sulla Luna abbondano e che sulla Terra non abbiamo. O magari le ha, nella maggior parte dei casi, uno solo degli attori che partecipano alla gara. Faccio l’esempio delle terre rare. Le terre rare, che sono 17 elementi chimici che troviamo in qualsiasi dispositivo elettronico che usiamo, senza i quali i nostri dispositivi non funzionerebbero, bene, oggi le terre rare non sono affatto rare, ma sono dislocate in aree precise della Terra, nella grande maggioranza dei casi gestite a livello di estrazione (complicatissima) e poi elaborazione per esempio dalla Cina. Le terre rare sulla Luna abbondano, così come abbonda l’elio 3. L’elio 3 oggi si usa poco, sulla Terra non ce n’è particolarmente. L’elio 3, qualora dovessimo raggiungere un domani la capacità tecnologica di sfruttare la fusione nucleare, ebbene grazie a un giacimento grosso quanto un campo di calcio di elio 3 potremmo soddisfare il fabbisogno elettrico di una città come New York per un anno. La Luna è piena di elio 3, per non parlare dell’acqua, altra cosa fondamentale. Nei prossimi 10 anni, poi te ne dico un’altra nei prossimi 50. E qui mi ricollego all’ultima cosa che hai detto: la capacità di ridurre drasticamente il costo per chilo nel trasporto in orbita. Se Starship, cioè il primo veicolo di lancio completamente riutilizzabile (non si butterà via niente di Starship), se Starship dovesse riuscire a fare quello per cui è stata progettata, cioè essere completamente riutilizzabile e portare in orbita bassa 200 tonnellate di payload, di carico pagante (tre volte tanto quanto riusciva a fare lo Space Shuttle), il costo al lancio al chilo per lo Space Shuttle era di circa 50.000 dollari al chilo. Oggi con il Falcon 9, Elon Musk e SpaceX lo hanno ridotto a 6.000 dollari circa (qualcuno dice 3.000. qualcuno dice 4.000, comunque l’ordine di diminuzione è questo). Starship, qualora riuscisse, porterebbe un chilo in orbita a 200 dollari al chilo. Voi capite come cambia tutto. Per cui Starship io la metto senza dubbio nelle tecnologie game changer, come dicono gli anglofoni come te.

David: Assolutamente. Rimaniamo qui, perché questo della riutilizzabilità è qualcosa di importante. La curva di apprendimento di razzi parzialmente riutilizzabili nel primo stadio, come Falcon 9, ha prodotto risultati strabilianti. Questo è sempre un grafico di Steve Jurvetson, l’investitore di SpaceX, che fa vedere come nel primo trimestre 2024 l’87% di tutta la massa utile in orbita sia stata portata da SpaceX, seguito dai cinesi più di dieci volte di meno, poi dai russi, poi giapponesi, indiani, una manciata di razzi di altre realtà private o nazionali, come per esempio l’agenzia spaziale iraniana. E nel primo trimestre 2024 la massa utile in orbita portata dall’Europa era zero, come hai detto.

Emilio: Vorrei sottolineare questo passaggio. C’è un uomo, facciamo finta che SpaceX sia un uomo perché questa è la narrazione pubblica, comunque c’è un privato che da solo porta l’87% della massa lanciata nello spazio di tutto il mondo. Se Starship, questo l’ha detto lui ad aprile, Elon Musk, dovesse riuscire, potrebbe portare da sola SpaceX il 99% della massa lanciata nello spazio da tutta la Terra. Voi capite perché io parlo di potere extraterrestre quando mi riferisco a queste cose?

David: L’economia non è un modello chiuso, non c’è un limite massimo a quello che noi potremmo voler portare in orbita. In effetti, se si svilupperanno piani ambiziosi di espansione e la capacità di portare non solo satelliti ma intere industrie in orbita si realizzerà, aumenteremo di tantissimi ordini di grandezza quello che è il peso, la massa e l’importanza dell’economia spaziale.

Emilio: È più il piano di Jeff Bezos questo. Cioè in qualche modo dislocare anche l’industria pesante in orbita, con ovvie facilitazioni. Adesso però, a causa di un costo al chilo che, sebbene ribassato, è ancora alto, questo non è sostenibile. Ma quando sarà sostenibile? Se tu porti un’industria pesante nello spazio, punto primo: sebbene sia molto arrogante come sto dicendo, non inquini la Terra ma inquini altrove, che è il programma di Bezos. Punto due: riduci i costi terribilmente, perché io e te che saremo nello spazio potremo muovere con una mano una nave, un mobile, uno scaffale di un supermercato. Capisci quanto sarebbe più semplice. Continuo a interromperti David, ti chiedo scusa, ma mi tocchi su argomenti che mi appassionano tantissimo.

David: È emersa una ripresa video di 10, forse 15 anni fa dell’allora direttore generale dell’Agenzia Spaziale Europea, o forse addirittura di Ariane, che è il braccio industriale. Gli è stato chiesto: “Guarda che i piani di SpaceX sono quelli di costruire razzi riutilizzabili, tu cosa ne pensi?” “Ah no, è impossibile. Ma se invece si verificasse che non è impossibile, allora non faremo che copiarli.” Un’arroganza straordinaria vista a posteriori. Io ho partecipato, c’eri anche tu, ad una conferenza recentemente che parlava di economia dello spazio. Mi sono proprio molto modestamente proposto di andare dal maggior numero possibile di espositori, perché c’erano non solo conferenze ma anche spazi espositivi, di Airbus per esempio o di altri. Ho chiesto a tutti cosa pensano di SpaceX, se hanno loro o conoscono qualcuno in Europa che abbia progetti di razzi riutilizzabili. Rispondendomi come hanno risposto, la terza domanda era se avevano una sensazione di panico.

Emilio: La risposta a questa mi interesserebbe, sinceramente.

David: Magari avessero risposto che avevano una sensazione di panico. In realtà erano tutti quasi offesi dall’essere chiamati a competere, invece di potersi tranquillamente sedere nella comoda condizione in cui si sono trovati per 10-20 anni.

Emilio: È vero, perché non dimentichiamolo, l’Europa è stata leader dei lanci commerciali con Ariane 5 per parecchi anni, complice il fatto che gli Stati Uniti avessero dismesso il programma Space Shuttle, per cui non avevano niente per portare in orbita le loro cose. Però, e qua hai ragione, lo ha detto lo stesso Bruno Le Maire, ministro francese, nel 2014, quando all’ESA viene proposto: “Cosa facciamo? Investiamo su una nuova evoluzione dei nostri sistemi di lancio o in una rivoluzione, cioè sulla riutilizzabilità?” Hanno scelto l’evoluzione e oggi scontiamo il fatto che un privato mandi in orbita l’87% della massa complessiva e l’Europa nei primi mesi del 2024 zero lanci.

David: Ci sono in realtà un paio di iniziative, una tedesca e una spagnola, che forse avranno la capacità di produrre razzi riutilizzabili.

Emilio: C’è anche Themis. Themis è un lanciatore test che dovrebbe essere proprio riutilizzabile. Il problema è che ce l’abbiamo solo in programma. E il problema è che quando anche dovesse risultare particolarmente efficace, fra 2, 3, 4, 5 anni, fra 5 anni SpaceX avrebbe la riutilizzabilità da quanto tempo? Questo è il punto.

David: Guarda, sei troppo generoso. Cinque anni all’ESA e ai suoi partner industriali non bastano per sviluppare un approccio radicalmente nuovo. Soprattutto quello che SpaceX ha portato è una visione di rapida iterazione per il miglioramento dell’infrastruttura in base ai dati sperimentali che evidenziano quello che non va e che tu poi correggi. Funziona ad una velocità cento volte superiore rispetto a tutti gli altri. La stragrande maggioranza dei tuoi colleghi giornalisti è colpevole di un’ignoranza che poi trasmettono ai loro lettori nel momento in cui titolano “L’ultima Starship di SpaceX è esplosa”, “Insuccesso nel lancio”. Doveva esplodere, non poteva essere altrimenti.

Emilio: Il quarto lancio non è esploso e guarda quanto è cambiato, guarda le migliorie dal terzo al quarto lancio, impressionanti. Io ero impressionato. Hanno portato il booster, che è una bestia di 60 metri, ad ammarare in maniera perfettamente controllata. E la ship, la vera e propria Starship, l’astronave, sebbene mezza bruciata, è arrivata esattamente dove doveva arrivare. Significa che la prossima volta secondo me ce la fa. Sta facendo passi da gigante. Tra l’altro non avendo rotto niente, la FAA (Federal Aviation Administration) gli ha permesso di andare avanti senza indagini. Io non escludo che fra un mese SpaceX faccia un quinto test, perché sono liberi di farlo.

David: Quello che io ho visto come la cosa più tragica di queste mie conversazioni alla conferenza è che le persone ben intenzionate rispondevano con ragionamenti circolari, dicendo che non avevano le grandi commesse che vengono date dall’analisi. Oppure: “I razzi riutilizzabili servono solo se tu lanci migliaia di satelliti”, senza rendersi conto che quello che si sono autoimposti o che hanno imparato nella loro esistenza imbrigliata dai burocrati è di non sognare, è di non immaginare nemmeno che sì, i razzi riutilizzabili li facciamo perché se oggi lanciamo poco, questo non deve voler dire che domani lanceremo poco. Domani noi vorremmo lanciare tantissimo. E tocchiamo adesso le visioni del futuro di 30 o 50 anni. La Terra e Marte sono in una congiunzione favorevole ogni due anni all’incirca. SpaceX ha intenzione di cominciare a produrre una Starship al giorno nelle sue fabbriche in modo da poterle posizionare in orbita attorno alla Terra, rifornirle con tantissimi altri lanci e, arrivando il momento giusto, lanciare mille astronavi verso Marte simultaneamente. È una visione pazzesca che gli europei si sono autocastrati da non poterlo immaginare nemmeno.

Emilio: C’è da dire che io credo che a livello di visionarietà e di sogno, davvero Elon Musk stia concretizzando quello che potrebbe essere un’evoluzione della specie umana in assoluto. Detto questo, dire però che i suoi fondi siano totalmente privati sarebbe parzialmente vero. Tu sai bene, questo lo ha scritto il New York Times settimana scorsa, credo almeno il 60-65% (anche soprattutto relativo agli ultimi anni) di quello che lui spende lo ha in realtà dal governo federale. La vera differenza è nella visione, nel sogno. Certo che arrivano soldi federali, così come l’ESA ha un grande budget. Non è che l’ESA il budget non ce l’ha, è questo il punto. Adesso sto veramente facendo l’avvocato del diavolo. Le grosse compagnie di lancio europee dicono: “Ma allora date anche a noi tutti i soldi che gli Stati Uniti danno a SpaceX e la riutilizzabilità ve la facciamo anche noi in 4-8 anni.” Questo non so se sia vero.

David: Per quel poco che ho visto io, per quello che vedo io, non ne hanno assolutamente la mentalità. Anche in America, la United Launch Alliance ha messo quattro volte di più, a due volte il costo, per essere quattro anni in ritardo rispetto alla capsula Dragon per portare astronauti nello spazio.

Emilio: Ma quando Elon Musk arrivò, nessuno alla NASA lo voleva tra le scatole, nessuno. Tutti pensavano intanto che fosse un pazzo e, come dici tu, che la riutilizzabilità fosse una chimera, un mito da racconto inventato. Punto due, la NASA era contro quel tipo di cambio di mentalità, e con la NASA i vari grandi appaltatori tradizionali: Boeing, Lockheed Martin, Northrop Grumman, eccetera. Quella è stata veramente una rivoluzione. Attraverso la Singularity University ho avuto l’opportunità di conoscere…

David: Pete Worden, che è stato il direttore NASA, molto spregiudicato, che ha dato l’appalto a SpaceX quando, dopo i primi fallimenti, l’ultimo tentativo di lancio di Falcon 1 è andato bene.

Emilio: Lui e Lori Garver, che era la sua vice, sono le persone che letteralmente hanno affidato a SpaceX, a SpaceX e ad altri all’inizio, poi SpaceX ha vinto, tra virgolette, di rivoluzionare lo spazio. E come dici tu, il punto, secondo me l’errore dell’Europa, è stato non capire che rivoluzionando lo spazio tu cambiavi la Terra. Almeno loro lo hanno pensato, hanno detto: “Ok, allora passiamo alla prospettiva di 50 anni, quindi che cosa vedi rispetto a quello che si può intravedere già adesso?” E che eventuali decisioni noi, come continente europeo, americano o altre realtà economiche e politiche, prenderemo, potranno cambiare la traiettoria del futuro?

Allora ti do una risposta prima da giornalista e poi da cittadino del mondo, cittadino della Terra, da parte dell’equipaggio di questa astronave meravigliosa che chiamiamo Terra. La risposta del giornalista è, come ti dicevo prima, io non escludo che lo spazio purtroppo rischi di contribuire all’acuirsi di conflittualità terrestri, magari amplificandole, magari addirittura creando nuovi poteri che oggi non ci immaginiamo neanche. Qualche anno fa un analista diceva che la guerra nello spazio si sarebbe combattuta non tra Stati Uniti e Cina, ma tra Stati Uniti e Giappone, motivandola poi. Per cui non escludo che lo spazio possa in qualche modo acuire delle tensioni. Sebbene bisogna essere onesti: proprio per evitare quel Kessler Effect di cui parlavi prima, anche oggi le orbite sono molto contese. Eppure, per fare in modo che io non ti danneggi, e danneggiando te non danneggi me stesso magari distruggendoti una costellazione, oggi almeno in alcune orbite il mercato si sta autoregolamentando senza volerlo. Io non posso danneggiare te perché danneggiando la tua infrastruttura inevitabilmente potrei danneggiare me stesso. Allora mettiamoci d’accordo: nessuno danneggia nessuno e i nostri interessi commerciali sono tutelati. Io mi auguro che questo ricapiti anche in orbite più lontane. Simonetta Di Pippo, che oggi dirige lo Space Economy Evolution Lab della Università Bocconi, addirittura ha intitolato il suo ultimo libro “Luna Laboratorio di Pace”. E quindi c’è anche questa prospettiva. Io sono un pochino più pessimista. Io credo che nello spazio passeranno le trame di futuri conflitti e la strutturazione di nuove potenze, letteralmente. Il presidio dello spazio che non a caso è un presidio che ormai la NATO e le Nazioni Unite considerano un presidio esattamente come la Terra, il cielo, il cyber e il mare, per cui un presidio militare, cioè da presidiare, da tutelare, da proteggere o su cui combattere. E tra l’altro è recente il fatto che l’Europa si sia dotata di una politica di sicurezza e difesa spaziale, successo a marzo, non ne ha parlato nessuno. Laddove un attacco ad asset spaziali è equiparabile a un attacco terrestre d’articolo 5, per cui un attacco a un mio alleato può determinare il fatto che io vada ad aiutarlo. Questa è una cosa nuova. Ebbene, quindi stiamo purtroppo preparandoci a venti di guerra anche extraterrestri. Poi rispondo da cittadino terrestre, da cittadino del mondo. E mi auguro che abbia ragione la di Pippo e che lo spazio, severo maestro, come diceva un grandissimo autore, visto che è così ostile e visto che ha delle sfide così difficili da vincere, e nessuna nazione da sola ancora è in grado di vincerla (oggi su Marte non ci va la Cina da sola, non ci va Elon Musk da solo), oggi… Io spero che questo suggerisca che magari mettendoci insieme certi risultati li raggiungiamo più facilmente. Perché ricordiamoci, è vero, non abbiamo un piano B e nessuno tranne Musk vuole portare l’umanità su Marte. Ma se succedesse qualcosa sulla Terra, o semplicemente se a un certo punto le risorse davvero scarseggiassero, dovremmo essere in grado di prenderle da altre parti. In questo momento non sappiamo arrivare molto lontano. Per cui mi auguro che ci mettiamo insieme per vincere le incredibili sfide che lo spazio dà a tutta l’umanità: non ai russi, ai cinesi, agli indiani, agli italiani e agli europei, ma a tutti.

David: Io concluderei con una nota di ottimismo. Tu e io e chiunque altro voglia andare nello spazio possiamo prenotare un viaggio in orbita terrestre a visitare la stazione spaziale, andare sulla Luna o su Marte. Queste schede sintetiche illustrano queste missioni sul sito di SpaceX. Guarda caso si può fare click per essere in contatto confermando il proprio interesse.

Emilio: Non dimentichiamoci che a breve, tra il 2030 e il 2031, l’ISS, cioè la Stazione Spaziale Internazionale, sarà dismessa. E che al suo posto in questo momento c’è solo ed esclusivamente una stazione nazionale cinese, non internazionale, nazionale. I cinesi sono stati gli unici capaci di costruirsi una stazione modulare nazionale. I russi l’avevano fatto ma non era modulare, era sovietica. Adesso in questo momento c’è quella. Però molto presto cominceranno ad arrivare nello spazio stazioni spaziali private, commerciali. La prima probabilmente sarà dell’Axiom Space, un’azienda texana che sta lavorando in Italia per produrre un suo pezzo, perché l’Italia ha una grandissima eccellenza industriale soprattutto in quell’ambito. E a breve magari, David, il nostro giretto lo faremo su una stazione di Blue Origin, su una stazione di Axiom o su una stazione di chi lo sa, perché arriveranno.