Introduzione all’Intelligenza Artificiale

Nel corso di una presentazione tenuta presso Banca Sella ho parlato delle diverse applicazioni dell’Intelligenza Artificiale e della sua continua evoluzione. Per essere parte del futuro dovremo riscrivere la definizione di umanità e renderci conto che i nostri nemici non sono le macchine intelligenti, ma quelle stupide.


A Milano, nel 1987, si è tenuto un congresso mondiale sull’intelligenza artificiale. Questo per dimostrare come l’interesse che vediamo oggi sull’argomento ha radici lontane, radici importanti.
Come durante la rivoluzione industriale la forza muscolare animale è stata sostituita dalla forza idraulica, forza del vapore e ad oggi forza elettrica, permettendoci di ridisegnare la società, l’intelligenza artificiale affiancherà l’intelligenza umana e trasformerà la società tanto quanto questa è stata trasformata dall’industrializzazione.

Già cinquecento anni fa, Leonardo immaginava macchine volanti che la metallurgia e la conoscenza aerodinamica di allora non gli permettevano di realizzare. Il suo sogno è stato portato avanti nel tempo da persone con le conoscenze necessarie per concretizzarlo. L’avanzamento tecnologico ha valicato le limitazioni una volta credute insuperabili dei primi goffissimi computer.

Il nostro mondo è definito dalla tecnologia, più precisamente dalle tecnologie esponenziali, come ne è stata esempio la veloce progressione di computer, telefoni cellulari e sensori. Hardware miniaturizzati, tanto da averci portati alle scale atomiche, hanno potuto contenere una quantità di dati molto maggiore e rendere i programmi molto più efficaci.
Quando la posta elettronica ha cominciato a diffondersi negli anni novanta, pochi credevano che vent’anni dopo il suo utilizzo sarebbe stato quasi universale. Allo stesso modo gli strumenti di intelligenza artificiale si diffonderanno e tra dieci o vent’anni il loro utilizzo sarà altrettanto banale e scontato come lo è oggi quello della posta elettronica, da parte di tutti.

Oggi ci sono diverse domande riguardo il futuro del lavoro quando le macchine saranno in grado di eseguirlo al posto nostro, ma cominciamo a vedere i contorni di possibili risposte: ci renderemo conto che ognuno di noi ha del talento da valorizzare e impiegheremo il tempo a migliorare noi stessi, per affrontare meglio la vita nella società, dando un’opportunità alle persone di essere parte del futuro.

Dovremo decidere chi sono i nostri nemici e arriveremo al punto da dover riscrivere la definizione di umanità, concludendo che i nostri nemici non sono le macchine intelligenti, ma quelle stupide. Supereremo rapidamente la transizione che cambierà la società, risolvendo i nostri problemi attuali, preparandoci ad affrontarne di ancora più stimolanti.

“Buona sera a tutti e grazie per l’ospitalità. Io torno sempre volentieri. Viaggio parecchio e quindi avere l’opportunità di visitare luoghi così interessanti come questi di Sella Lab per me è veramente un privilegio.

Una domanda molto semplice per conoscerci. Alzate la mano se utilizzate la posta elettronica a lavoro. Okay. E senza mettere in imbarazzo nessuno, spero, alcuni di voi forse, spero di no, hanno a pie di pagina sui messaggi un avvertimento: “Pensa all’ambiente prima di stampare questo messaggio”. Davvero alcuni di voi stampano le email per leggerle? Non chiedo di alzare la mano a chi lo fa, ma la mia raccomandazione è eventualmente di non farlo, okay? Non tanto per l’ambiente, ma perché uccidete in culla lo strumento. Cioè lo strumento serve per comunicare in modo snello e quindi se voi stampate le email vuol dire che non avete capito come si usa lo strumento. Questa domanda e questa partenza, questo incipit, è per dirvi che l’email è nata tanti anni fa, negli anni sessanta, però si è diffusa negli anni novanta e oggi, vent’anni dopo, in un posto di lavoro, diciamo, normale, in una banca, quando faccio la domanda a persone non tecniche se utilizzano lo strumento alzano tutti la mano. Analogamente, gli strumenti di intelligenza artificiale si diffonderanno in modo ampio e radicale e fra dieci o vent’anni se io facessi la domanda chi di voi usa strumenti di intelligenza artificiale nel proprio lavoro, la risposta sarà universalmente di si. Altrettanto spontaneamente, in modo quasi banale e scontato, così come qualcuno ha alzato due braccia addirittura per dire “figurati, senza email morirei, senza email non potrei lavorare”.

Il mio nome è David Orban e mi fa piacere rimanere in contatto anche successivamente, non solo adesso, non solo quando ci saluteremo alla fine che andrete a casa, ma se avete voglia di collegarvi su LinkedIn, su Twitter, vi invito tranquillamente a farlo per continuare questo dialogo, queste nostre conversazioni. Alla Singularity University, in California, presso il centro di ricerca Nasa con i finanziamenti di Google è questo che noi facciamo. Ci occupiamo di come la tecnologia migliora il mondo. Non è un gioco a somma zero, non è che i suoi lati positivi equivalgono a quelli negativi. Su per giù, non importa se usiamo o meno la tecnologia. La tecnologia è quello che ha trasformato il mondo attorno a voi, attorno a me e quello che rende possibile fare quello che facciamo ed è per capire quali implicazioni ha la tecnologia che qualche anno fa ho fondato una Think Tank a Londra che adesso è presente in più di quaranta paesi nel mondo, Network Society Research, e un anno fa Network Society Ventures, un fondo di investimenti che individua i team e le idee più importanti per poi accelerarne lo sviluppo attraverso un investimento in venture capital. Ho anche pubblicato un libro su questi temi con Hoepli che fa riferimento agli sviluppi più estremi dell’intelligenza artificiale e ne ho qua tre copie da regalare a quelli che fanno le domande più interessanti. E quindi a mio unico giudizio, soggettivo, assolutamente, senza la presenza di un notaio, deciderò a chi dare uno di questi tre libri alle tre domande più interessanti. E se saranno tre domande in tutto sapete già che sarete tutti vincitori. Se queste cose vi incuriosiscono e volete avere un’altra occasione di approfondimento che non duri due ore ma due giorni, in un momento dove parleremo non solo di intelligenza artificiale ma anche di biologia sintetica, di internet degli oggetti, di nuove fonti di energia, di futuro dell’imprenditoria della finanza, della criminalità e di tanti altri aspetti interessanti, per la prima volta viene organizzata in Italia la SingularityU Summit, appunto un evento contenitore molto stimolante. In fin dei conti siamo viaggiatori nel tempo, un minuto al minuto e alla velocità con cui andiamo da qualche parte e tanto vale cercare di capire dove andremo a finire e fare di tutto perché quel posto, quando ci arriveremo, sia qualcosa che ci piace condividere con gli altri, con la nostra comunità, con i nostri figli.

Il nostro mondo, come dicevo, è definito dalla tecnologia. È definito più precisamente dalle tecnologie esponenziali, tecnologie che cambiano non in modo lineare, passando come in autostrada da cento km all’ora a centodieci a centotrenta, si spera poi non di più, ma che cambiano passando da cento a duecento a quattrocento a ottocento con una progressione che non è facile digerire, per cui non siamo programmati, che non è nostra propria, anche se ormai sono cinquant’anni che siamo testimoni di questo cambiamento così come descritto dal miglioramento dei nostri computer, dai nostri telefoni cellulari, e oggi dai sensori che si stanno diffondendo sempre di più nell’ambiente con capacità migliori. Questo cambiamento avviene attraverso il lavoro di migliaia e decine di migliaia di persone in tutto il mondo, ingegneri, informatici, scienziati, investitori, che cercano di capire come superare i problemi che incontriamo ed è una progressione che, proprio per la legge dei grandi numeri, sembra continua, ma in realtà, al suo interno, ha una ricchezza di passi in avanti sorprendenti, oppure di strade senza uscita che sono tentativi che poi falliscono. Ed è proprio per questa natura che si può vedere come un futuro che sta arrivando un po’ dappertutto sia già presente da qualche parte. Ci sono posti al mondo dove questo futuro si sta già sperimentando e attraverso una comunicazione globale che collega tutti noi, che sia su Facebook che sia con i giornali o con i telegiornali che leggiamo e guardiamo, comunque possiamo imparare come adottare approcci e tecnologie anche per noi. I diversi ambiti su cui ritorneremo anche specificamente per il tema della serata attraverso cui si articolano questi cambiamenti creano un circolo virtuoso, l’hardware che è la macchina che utilizziamo permette di far girare un software che ne mette in moto la potenza e il modo in cui lo utilizziamo sempre più facilmente per raggiungere i nostri obbiettivi lo fa diffondere sempre di più, lo fa adottare da un numero sempre maggiore di persone. Questo hardware inizialmente era qualcosa di gigantesco, i classici cervelli elettronici degli anni sessanta, e la progressiva miniaturizzazione dei circuiti ha portato oggi ad arrivare alle scale atomiche e oggi non ne parleremo, magari in un altro incontro, ma i paradigmi stessi che hanno per cinquant’anni dettato come progettiamo e come programmiamo i nostri computer, stanno per essere stravolti dall’introduzione di un approccio completamente diverso dei così detti computer quantistici.

Quando voi, magari, leggete negli inserti culturali od economici o anche tecnologici dei quotidiani “è finita la legge di Moore”: chi ha già sentito nominare la legge di Moore, che cos’è? Molti di voi. È una legge che non è una legge di natura, è una profezia che si auto avvera attraverso gli sforzi degli ingegneri che vogliono farla avverare di anno in anno e quando viene, appunto, dichiarata morta questa legge, non si tiene conto del fatto che la creatività e la passione di queste persone potrà superare le barriere, magari cambiando le regole del gioco, ma produrrà ancora per moltissimo tempo computer sempre più potenti. Computer che erano inizialmente ciechi e sordi e solo dopo un po’ cominciavano a interagire, capire che noi volevamo rappresentare i nostri dati attraverso delle metafore a noi familiari, che ci piaceva il colore. Si sono liberati dalle dimensioni delle nostre mani e riconoscevano non solo il tocco, ma addirittura il movimento, con telecamere che adesso cominciano a diffondersi negli ambienti. Preparatevi che fra qualche anno vi imporranno di indossare gli occhiali di realtà aumentata per lavorare e alcuni di voi resisteranno, così come magari negli anni ottanta c’erano vostri colleghi che si rifiutavano di utilizzare il personal computer che era al di sotto della loro dignità e, non so se c’è qualcuno, qui, oggi, del personale, ma se qualcuno oggi ad un colloquio si presentasse affermando con orgoglio che lui o lei non usa mai il computer le sue chances di essere assunto sarebbero veramente vicine allo zero, e così in futuro non essere pronti o non essere portati a mettersi in gioco e usare queste interfacce di realtà aumentate che adesso sembrano goffe e o che ci fanno anche sorridere o inorridire a seconda, sarà l’analogo di non usare il personal computer. Il riconoscimento del parlato era proprio una delle frontiere dell’intelligenza artificiale ed oggi è presente nel telefono di tutti. Una delle frontiere proprio adesso è quello di leggere il pensiero e il computer sta aumentando sempre di più. La magia che quelli che sono appassionati di tecnologia vedono in questa frontiera fa venire letteralmente i brividi. Oggi cominciamo a essere in grado di leggere qual’è la lettera a cui la persona sta pensando. Quindi magari, lettera per lettera, in un alfabeto molto lento, in una compitazione goffa, ma possiamo con il pensiero scrivere e questo è l’inizio di una cascata di eventi che porterà letteralmente alla fusione di computer e persone. Con il pensiero ma anche, poi vedremo, in altri modi. Questa immagine potrebbe essere tranquillamente essere stata scattata in queste valli, in queste zone. Ricorda proprio una importantissima rivoluzione di una industrializzazione dove la forza muscolare animale veniva sostituita con la forza idraulica, con la forza del vapore, oggi con la forza elettrica e che ci ha permesso di ridisegnare come immaginiamo la vita e come immaginiamo la società, come immaginiamo i prodotti e i servizi con cui ci contorniamo, di cui ci serviamo, e un analogo cambiamento sarà quello della diffusione degli strumenti d’intelligenza artificiale che affiancherà non tanto la forza muscolare umana, ma affiancherà l’intelligenza umana e trasformerà la società tanto quanto questa è stata trasformata dall’industrializzazione delle industrie tessili, della produzione industriale delle nostre città. In un neologismo inglese, “Cognification”, rendere cognitivo e questo processo che dota di intelligenza gli oggetti che oggi ne sono sprovvisti.

Il sogno di poter fare questo, un po’ come Leonardo cinquecento anni fa immaginava macchine che poi, per tanto tempo, non siamo stati in grado di realizzare, non è partito ieri. È stato un sogno portato avanti per tanto tempo dalle persone che avevano disegnato e progettato e realizzato i primi computer, computer che all’ora erano goffissimi e che secondo molti avevano limitazioni fondamentali, che vedevano magari insuperabili. Beh, queste limitazioni sono state superate e le cose che erano sogni allora, stanno diventando realtà oggi. Io sono partito a lavorare nel campo dell’intelligenza artificiale letteralmente trent’anni fa. Me ne sono ricordato l’altro ieri e ho appena fatto un trasloco e quindi è un mezzo miracolo che sia stato in grado di trovare queste copie, fisiche, che ho messo sulla scrivania per fotografarle per oggi di un congresso mondiale che si è tenuto a Milano nel 1987. Era la conferenza mondiale sull’intelligenza artificiale ed è per illustrare che effettivamente l’esplosione d’interesse che vediamo attorno all’argomento oggi, ha radici lontane, ha radici importanti. E nel momento in cui crediamo che il momento sia quello giusto, che l’ondata partita d’innovazione robusta e sostenibile dà una spinta alle idee, alla creatività, alla passione delle persone che vi si vogliono impegnare, allora la ricetta per la creazione di migliaia o decine di migliaia di nuove aziende è quella che vedete qui. Molto semplicemente, banalmente se volete. Come si fa a fare la pizza con l’intelligenza artificiale? Chi lo sa. Ha senso? Assolutamente si, bisogna trovare quel senso. Come si fa a fare un attaccapanni con l’intelligenza artificiale? Ha senso? Si, anche quello. Qualunque cosa, sforzatevi per pensare e naturalmente, così come lo fate in esempi, come questi, qualunque, sforzatevi per farlo anche nel vostro lavoro. Di come arricchirlo, di come renderlo più competitivo, attraverso un approccio che si basa su questi strumenti e questi esempi che vedrete oggi. Per quanto io confermi quello che ho detto prima, cioè che la tecnologia non è un gioco a somma zero, è un gioco a somma positiva, i vantaggi che la tecnologia comporta superano gli svantaggi, questo non vuol dire che non abbia dei pericoli intrinsechi, delle falle, delle trappole nascoste che dobbiamo assolutamente essere in grado di evitare. Quando è stata progettata la prima bomba atomica, alcuni fisici temevano che la sua esplosione, anche quella sperimentale, prima, fatta nel deserto del New Mexico, potesse incendiare l’atmosfera terrestre in una catena chimica nucleare che avrebbe consumato tutto l’ossigeno sulla terra, e giustamente si sono messi al lavoro per calcolare che questo sarebbe avvenuto. Hanno concluso che probabilmente non sarebbe avvenuto, hanno fatto esplodere la bomba, e hanno visto che in effetti non era avvenuto. Le spinte di cambiamento dell’intelligenza artificiale saranno analoghe a quelle di una bomba atomica e dobbiamo assolutamente adoperarci per assicurarci che non ci sia una trappola di questo tipo, che facciamo partire una reazione a catena che poi non siamo in grado di fermare e che ha degli effetti collaterali estremamente negativi di pericoli esistenziali. Ed è per quello che anch’io sono uno dei firmatari di questa dichiarazione di 23 linee guida di principi che è stato pubblicato recentemente dal MIT per costruire intelligenze artificiali che abbiano degli obbiettivi e del modo di essere che non sono in contrasto con quelli nostri, con quelli umani, con quelli dell’umanità. Allora, se queste radici dell’intelligenza artificiale risalgono a cinquant’anni fa, a trent’anni fa, come mai è adesso che si sta sviluppando? Quest’esplosione avviene adesso, un po’ come l’ho menzionato prima, Leonardo aveva, in modo molto famoso, progettato una specie di elicottero, cinquecento anni fa, ma non era possibile realizzarlo all’ora, l’abbiamo realizzato oggi perché la metallurgia ce lo permette, perché l’aerodinamica l’abbiamo capita e così, oggi, un particolare approccio alla risoluzione dei problemi può utilizzare un’hardware di letteralmente milioni o miliardi di volte più potente di trent’anni fa, può utilizzare una mole di dati altrettanto più grande su cui fare elaborazioni con degli algoritmi, con dei programmi, che sono molto più adeguati, molto più potenti per affrontare i problemi che vogliamo risolvere. Quindi, Hardware molto più potente, una quantità di dati molto maggiore e dei programmi molto più efficaci. Un po’ di applicazioni per darvi anche un’idea molto concreta di cosa stiamo parlando. Applicazioni molto terra terra, che però rappresentavano dei traguardi quasi magici per il campo. Secondo una definizione molto corretta, l’intelligenza artificiale è “Il campo che implementa attraverso l’uso del computer, facoltà che altrimenti sono effettuate, sono eseguite, dall’uomo, usando la propria intelligenza naturale” e secondo una definizione un po’ meno seria, l’intelligenza artificiale è quel campo che “quando raggiunge un traguardo, lo nega al volo, dice: “ah, questo non lo era. Passiamo oltre””. Quando nel 1994 il campione mondiale in carica di scacchi, Casaro, è stato battuto da un computer, è stato un risultato enorme, eppure quelli che hanno sperato che questo venisse raggiunto, non ne erano contenti, non hanno detto “Okay, abbiamo finito e abbiamo raggiunto quello che volevamo” ed è un po’ così anche con il riconoscimento delle immagini. Quello di capire cosa c’è in un’immagine da parte del computer è stato un sogno per quarant’anni e oggi siamo in grado di farlo. Google, due/tre anni fa, ha annunciato che attraverso il suo prodotto per la memorizzazione online delle fotografie non dovevi più mettere le etichettino su che cosa è una fotografia, l’hai preso al mare, l’ha preso in montagna, è una vacanza o chi c’è nella foto. Loro sarebbero stati in grado di farlo automaticamente e da allora hanno continuato e oggi è possibile interrogare il tuo archivio online di fotografie attraverso migliaia di parametri diversi. Io ho più di cento mila, forse anche cento cinquanta mila fotografie online e sarebbe assolutamente impossibile per me catalogarle, etichettarle, ma posso interrogarle per esempio chiedendomi di visualizzare le fotografie di persone che sorridono in spiaggia al tramonto e se abbiamo tempo e voglia poi possiamo, in tempo reale, eseguire questa interrogazione così come una qualunque altra. Facebook ha fatto qualcosa di simile con un’applicazione di una bellezza incredibile dove la fotografia viene descritta all’interno della pagina che il vostro telefono visualizza e se voi condividete un momento divertente di una gita e avete un amico non vedente, questa persona può farsi leggere quella fotografia per poi mettere il mi piace e partecipare, così, al vostro momento di gita fuori posta e questo è un esempio per me particolarmente importante perché fa vedere come la tecnologia ci rende più sociali, più umani, ci condivide, ci rende ematici e ci permette di partecipare meglio alla vita di uno e dell’altro, di superare i nostri limiti, di superare le barriere che eventualmente una disabilità ci ha dato. Quando trent’anni fa sono partito nel campo dell’intelligenza artificiale, c’erano programmi di riconoscimento vocale che dovevano venire utilizzati pronunciando una parola alla volta e ci si metteva tre ore ad addestrare il programma che faceva parecchi errori e la fatica dell’addestramento e la scomodità dell’utilizzo era tale che, giustamente, solo i disabili lo utilizzavano, ma per i disabili era una cosa incredibile. Io parlavo con persone quadriplegiche completamente paralizzate per cui questo programma di riconoscimento vocale era un ponte verso il mondo. loro facevano telefonate, componevano lettere, facevano di tutto con una fatica bestiale, ma che era una fatica per loro importante perché raggiungevano risultati altrimenti impossibili. Mi ricordo, poi, quando è uscito il programma di dettatura continua e io ad una conferenza stampa molto orgogliosamente lo presentavo e uno dei giornalisti in sala, era incredibile perché le persone pensavano che io barassi, che non era vero quello che facevo vedere. Una volta mi ero messo in piazza Duomo dietro ad una vetrina, seduto su una sedia, con un grande monitor ancora da quelli da acquario, praticamente, e le persone che passavano da davanti non sentivano e io che parlavo e poi gli dicevo di guardare il monitor e dialogavamo così, attraverso la scrittura delle parole, e a questa conferenza stampa il giornalista, per cercare di svelare che c’era un trucco, mi ha detto “nono, detta questa frase: il lavoro è a buon punto, non manca una virgola” e per far venire fuori la frase durante la dettatura bisogna pronunciare i simboli di punteggiatura, per cui quello che io dovevo dettare era “Il lavoro è a buon punto, virgola, non manca una virgola, punto” e la cosa esce anche qua è un mezzo miracolo, perché il computer è in grado di distinguere se deve scrivere la parola o se deve rappresentare il simbolo di punteggiatura. Una delle frontiere oggi più importanti dell’intelligenza artificiale è qualcosa che anche qui si pensava ci volesse ancora molto più tempo prima che arrivi. Diversi anni fa ero a Tel Aviv e ho incontrato un team della BMV che, in Israele ci sono molti team di ricerca e sviluppo avanzati di aziende di tutto il mondo perché c’è una capacità tecnica concentrata molto molto elevata, e ho chiesto a questi gruppi quando prevedevano che ci sarebbe stata una macchina a guida autonoma mi hanno detto che in effetti hanno un piano di introduzione di caratteristiche sempre più avanzate e prevedono che fra una trentina d’anni ci sarà una macchina che si guida da sé e in somma si sono sbagliati di una trentina d’anni, perché, se venite alla Singularity University che è presso il centro di ricerca Nasa, proprio di fronte a Mountain View in California, tutte le mattine incontrate uno sciame di macchina completamente autonome che cominciano a girare per le strade e come vedete da questo filmato, molto rispettosamente si fermano senza uccidere i pedoni, guidati da sensi completamente diversi dal nostro e questo per me è qualcosa di simbolico. La biologia, l’evoluzione nell’arco di centinaia di milioni di anni ha prodotto molte soluzioni indipendenti per risolvere il problema della visione, di come approfittare di questa ricchezza di informazioni dello spettro elettromagnetico che è attorno a noi per puntare alla sopravvivenza dell’individuo che prima non vedeva e adesso che l’evoluzione gli ha dato gli occhi, vede. E la stragrande maggioranza di queste soluzioni si basa sul principio della camera oscura, di un piccolo forello che fa entrare alla luce, che proietta l’immagine esterna su uno schermo posto dietro al forello che è la nostra retina e nonostante l’indipendenza con cui l’evoluzione è arrivata a dare l’occhio ai polipi, dare l’occhio agli squali, dare l’occhio a noi, la soluzione più o meno era sempre la stessa. Quella che vedete là si chiama LIDAR, è l’equivalente di un radar che usa invece delle onde radio, come è stato inventato nella seconda guerra mondiale, dei fasci laser. I nostri occhi, fumosamente, hanno una risoluzione temporale di un venticinquesimo di secondo, anche meno, perché quando vogliamo vedere un film basta proiettare le immagini più di 20/25 immagini al secondo e il nostro cervello si illude di vedere un filmato, mentre è una sequenza di immagini. La risoluzione temporale di quest’occhio è di cento mila immagini al secondo, il nostro occhio ha un campo visivo di 150 gradi, forse, non lo so, non ho controllato, e quello stereoscopico dove i due occhi combinano per vedere la profondità è ancora meno, 30/40 gradi forse. Il campo visivo di quest’occhio è di 360 gradi, vede tutto. Nei due anni di test delle macchine autonome Google ha fatto una dozzina di incidenti e adesso saranno forse qualcuno di più. Nel 100% di questi casi l’incidente era dovuto ad un guidatore umano che tamponava invariabilmente la macchina troppo rispettosa di un giallo che sta diventando rosso, di uno stop o di una precedenza, incidenti di questo tipo, e la precisione della descrizione di che cosa stava succedendo grazie a questa registrazione hai voglia constatazione amichevole, non c’è tentativo che tenga di arrivare ad un compromesso, quella macchina sa assolutamente tutto.

Le trasformazioni che l’intelligenza artificiale porterà saranno radicali e voi appartenete tutti a quella categoria di lavoratori che si definiscono dei colletti bianchi, opposta a quella categoria dei colletti blu che lavorano o lavoravano nelle fabbriche, alle catene di montaggio, non so i colletti blu cosa fanno, ed è un po’ ipocrita che ci preoccupiamo della disoccupazione tecnologica perché tocca i colletti bianchi. La disoccupazione tecnologica ha toccato i colletti blu 30/40 anni fa e ha toccato non so che colletto hanno quelli che lavorano in campo agricolo, beh, loro li ha toccati quasi 100 anni fa. Comunque non importa ipocrita o meno. oggi c’è una fortissima preoccupazione su cosa succederà al lavoro quando anche le capacità creative e non solo quello del mietitrebbia saranno meccanizzate. Se l’erogazione di un prestito o di un mutuo può essere fatto da un computer, quei vostri colleghi che si occupano dell’approvazione di un prestito o di un mutuo, cosa faranno? E le risposte, qua, non sono ancora sicuramente definitive, questo è un campo apertissimo, però penso che sempre di più cominciamo a vedere i contorni di risposte possibili, dopo di ché alcune società daranno risposte che genereranno un futuro desiderabile e altre società daranno risposte che daranno un futuro che chiamiamo dispotico, di sofferenza, di conflitto. In effetti anche oggi vediamo alcuni curiosi meccanismi. Le macchine che si guidano da sé elimineranno il mestiere del camionista e meno male. Voi andate da un qualunque asilo o scuola elementare e chiedete ai bambini chi di loro sogna di diventare camionista da grande, non penso che uno qualunque di loro vi risponderà di si. il camionista non è un grande mestiere, così come non lo era quello del minatore, e nel momento in cui ci rendiamo conto che ognuno di noi ha talento da valorizzare, allora compito delle aziende e dei sindacati che devono lavorare insieme a risolvere qualcosa che è veramente complesso, è quello di dare spazio vitale a ognuno individualmente perché possa valorizzarsi, incondizionatamente. Cioè la società non può dire “ah, senti, ti dò sei mesi: o hai imparato a programmare le reti neuronali con i big data e i deep learning, se no puoi andare a morire nel fosso. Questa non può essere la risposta. Così come non può essere la risposta ai due milioni di persone che negli stati uniti si occupano di guidare i camion e in media hanno una cinquantina d’anni e guidano i camion da trent’anni che da domani possono andare, boh, non si sa a fare neanche che cosa. E sopratutto in una società dove la rete di stabilità è molto meno garantita che non in Italia ed è una conversazione che probabilmente non potrà che avvenire a livello mondiale, non potrà essere relegata ad una soluzione ristretta e non potrà, probabilmente, essere sperimentata una soluzione dove si erigono barriere contro un’inarrestabile cambiamento tecnologico. Anche perché una delle definizioni di intelligenza artificiale è il contrario dell’acronimo, in inglese, Artificial Intelligence, AI, tradotto specularmente come IA, Intelligence Augmentation, di come le macchine ci aiutano ad essere più creativi, ad essere più bravi ad affrontare i problemi e a risolverli. Quello di impiegare il tempo per migliorare sé stessi, per affrontare meglio la vita nella società, nella comunità, nella famiglia, è una tendenza di lunghissimo andamento e questo dell’introduzione dell’automazione dei lavori intellettuali sarà un’ulteriore spinta per accelerarlo. Dobbiamo affrontare però un’importante sfida che è quello di garantire dignità alle persone e garantire che sentano che sono parte del futuro, che non si sentano escluse, che non si sentano emarginate, perché loro intimamente si rendono perfettamente conto del proprio valore e la società non fa altro che sfaldarsi nel momento in cui non lo capiamo perché, contrariamente alla forza della gravità che vale sempre, vince sempre, se io salto fuori dalla finestra, per fortuna qua siamo al pian terreno, posso saltar fuori mille volte, non ci sarà una volta che non mi schianto. Mentre il contratto sociale, quando viene sottoposto ad una tensione eccessiva, invariabilmente si rompe, perché non è una legge di natura, anche se noi crediamo che le conquiste progressive del passaggio da una monarchia assoluta ad una monarchia costituzionale ad una democrazia rappresentativa siano conquiste permanenti, non è così. Dobbiamo lavorare per mantenerle. E la tecnologia ci aiuta anche in questo. Come noi analizziamo la nostra convivenza costruttiva e essa stessa è qualcosa che la tecnologia ci rende in grado di fare meglio, di come la tecnologia è qualcosa che può essere intimamente sperimentata, con cui di fatto alcuni di noi si stanno fondendo, alcuni di noi stanno sperimentando che cosa significa con i computer che non sono più qualcosa di esterno ma che fanno parte di quello che noi viviamo quotidianamente.

In un futuro che non è molto lontano sarà nostro compito decidere chi sono i nemici, perché ne abbiamo di nemici: un nemico assoluto è l’asteroide, uno ha fatto fuori i dinosauri e un’altro è lì, farà fuori l’umanità. Sta a noi decidere se identifichiamo e sconfiggiamo quel nemico mortale, esistenziale, e quindi non dobbiamo, non c’è bisogno di creare nemici inutilmente. Arriveremo in un punto dove non sarà banale capire se possiamo ritardare, rinunciare, a definire che cosa significa essere umani e di dare, magari, con coraggio, una nuova definizione di umanità e spero, io, concludere che i nostri nemici non sono le macchine, sopratutto non sono le macchine intelligenti, semmai i nostri nemici sono le macchine stupide. Non ci possiamo permettere così come tranquillamente lo facciamo adesso di avere milioni e decine di milioni di macchine che ci uccidono quotidianamente sulle strade nelle mani di persone altrettanto stupide quanto le macchine. Solo negli stati uniti trenta mila persone muoiono ogni anno e più di un milione di persone vengono menomate per tutta la vita in incidenti stradali e quindi sostituire le macchine stupide con macchine intelligenti è nostro interesse e più rapidamente lo facciamo, più rapidamente supereremo una transizione di fase dall’altra parte della quale ci troveremo una società profondamente cambiata e che avrà risolto tanti problemi che oggi ci attanagliano e che sicuramente si accingerà ad affrontarne altri ancora più stimolanti, ancora più interessanti.
Grazie.”