Intervista in Quale Impresa

In un’intervista per il numero Settembre – Ottobre della rivista Quale Impresa abbiamo parlato di come la tecnologia influenza e trasforma le nostre vite.


“Da Spartaco all’Homo 4.0”
di Matteo Giudici

Le tecnologie esponenziali avranno un impatto sull’uomo? E se si, in che modo?

«La società mette generalmente al primo posto gli obiettivi politici e, solo in un secondo momento, si pre- occupa di quali tecnologie utilizzare per perseguirli. Ma non è così che dovrebbe funzionare. È inutile immaginare cambiamenti irrealizzabili se non si dispone di una consolidata tecnologia che possa concretizzarli nel tempo. Se in epoca romana Spartaco avesse vinto, stabilendo un’enclave dove stavano combattendo, la prima sera attorno al fuoco avrebbero tirato a sorte per chi avrebbe fatto lo schiavo il giorno dopo, poiché allora non esisteva nulla che potesse rendere la schiavitù superflua. Dobbiamo pertanto domandarci se la nostra società sa approfittare di ciò che la tecnologia per- mette di fare e, se così non fosse, adoperarci per sfruttare appieno le tecnologie esistenti e disponibili. Dobbiamo capire quale forma di società sarà possibile realizzare grazie alle tecnologie di domani e, da ultimo, se la forma di governo di tale società è adeguata o ne serve una diversa.»


“È inutile immaginare cambiamenti irrealizzabili se non si dispone di una consolidata tecnologia
che possa concretizzarli nel tempo.”


Oggi il rapporto legislazione/regulation funziona al contrario: dal punto di vista normativo, siamo costantemente impegnati a rincorrere tecnologie nuove e non regolamentate – come Airbnb e le criptovalute. In pratica, “rincorriamo” la tecnologia, facendoci cogliere sempre impreparati. Come può essere trovato un punto di allineamento per cambiare radicalmente approccio?

«C’è un ulteriore assunto da abbandonare, sia in campo economico che di policy making: quello secondo cui il capo di un’azienda o un leader politico debbano essere infallibili. In realtà, la complessità dei fenomeni esponenziali che, giorno dopo giorno, continua a crescere è tale per cui è sempre meno prevedibile immaginare ciò che sta per succedere. Questa incertezza caratterizza il mondo di oggi e condiziona continuamente, ad esempio, il destino delle aziende di successo. Quindi, contrariamente a ciò che ci è stato insegnato, oggi non funziona più il: “Io ho più soldi per cui ho più successo, io ho più voti per cui ho ragione”. Servirebbe piuttosto un cambiamento di mindset, per dare più spazio all’errore sostenibile e misurabile, da cui trarre insegnamenti costruttivi. In ambito aziendale ciò può avvenire attraverso i cosiddetti laboratory camp, ambienti in cui si opera in una sorta di “isolamento intenzionale” rispetto al “sistema immunitario” aziendale, che si rivela molto spesso dannoso per l’innovazione. Allo stesso modo, dal punto di vista legislativo possiamo fare riferimento alle centinaia di aree extra-territoriali esistenti al mondo, la più famosa delle quali è probabilmente Shenzhen, in Cina, dove venti anni fa il regime comunista ha detto: “In quest’area portuale sospendiamo il regime comuni- sta: fate i capitalisti, noi interverremo il meno possibile”. Anche in Inghilterra hanno messo a disposizione una zona specifica per la sperimentazione delle macchine senza pilota. Si possono quindi trovare soluzioni più agili e audaci per affrontare i cambiamenti, come ad esempio gestire queste situazioni empiriche attraverso l’introduzione di regolamenti speciali, le cosiddette “leggi a scadenza”, che decadono rapidamente e possono essere facilmente riapprovate o modificate a seconda delle valutazioni effettuate. Pensi sia necessario un maggiore liberismo nel mondo? Prendiamo ad esempio i droni: lasciamo che lo spazio aereo resti completamente non disciplinato o pensiamo a una soluzione normata? Chi ripone una fede cieca nella capacità del mercato di trovare al proprio interno soluzioni ottimali vive un’illusione costantemente permeata di ipocrisia. Quello che differenzia l’uomo dalle altre specie è la consapevolezza dell’altrui sofferenza, ma la sua natura sadica, sterminatrice, lo spinge a uccidere pur di raggiungere un risultato, senza curarsi delle conseguenze. Noi siamo coscienti ed empatici rispetto al dolore: ci rendiamo perfettamente conto di quanto l’agricoltura industriale danneggi gli animali; perciò, le uniche soluzioni che ci restano sono diventare vegetariani o, quantomeno, cercare di migliorare le condizioni di vita degli animali che alleviamo e di cui ci nutriamo. Pensando ai droni, di certo non si può pretendere che non ci siano regole e, anzi, queste regole dovranno essere messe a punto rapidamente, altrimenti presto dovremo trovare rimedi che limitino i danni prodotti da un’evoluzione cieca. Dobbiamo essere vigili e attenti: i provvedimenti devono esserci, e devono evolversi molto velocemente. Per un certo periodo in Italia è stato possibile utilizzare i droni solo se legati ad un filo, altrimenti non erano autorizzati a volare. Qualche anno fa, per fare un altro esempio, in Italia si poteva accedere a un internet point solo dopo aver consegnato una copia della propria carta d’identità, così da scongiurare il rischio di un attentato. Evidentemente, qualcuno pensava che un attentatore avrebbe scritto “terrorista” alla voce “occupazione” o che, in ogni caso, avrebbe aspettato l’arrivo dei carabinieri prima di colpire. Fortunatamente, entrambe queste regole astruse sono state riviste.»

Perchè si ha tanta paura del tema, oggi così tanto dibattuto, della singolarità?

«Quando 3,4 miliardi di anni fa è comparsa la vita sulla Terra, era dominata da forme di batteri anaerobici che, non solo non avevano bisogno di ossigeno, ma addirittura lo processavano come l’elemento di scarto del loro metabolismo. Con il trascorrere degli anni, miliardi di anni, l’atmosfera, arricchendosi di ossigeno, ha potuto far emergere una forma di vita nuova, diversa, basata su esseri aerobici per i quali l’ossigeno è invece risultato vitale. Oggi esistono ancora colonie di batteri anaerobici vicino alle fonti vulcaniche o nelle profondità dei mari, ma il resto della vita su tutto il pianeta è di tipo aerobico. Il primo miliardo di anni in cui i batteri anaerobici hanno dominato il mondo non li ha preparati ad accorgersi del passaggio in atto, o a ritagliarsi un ruolo nel nuovo equilibrio naturale. Così, una decina di anni fa, se qualcuno avesse chiesto agli esperti del settore la propria opinione circa la singolarità tecnologica e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, i riscontri sarebbero stati talmente discordanti che qualsiasi elaborazione statistica sarebbe stata impossibile. Oggi le opinioni sullo stesso quesito iniziano a convergere: sono sempre meno gli esperti di intelligenza artificiale che si dicono scettici a riguardo. Che cosa vorrà mai dire?»

Stai parlando di un cambiamento epocale che potrebbe mettere in discussione la natura stessa dell’uomo. Di certo non sarà una fase momentanea ma, più probabilmente, un lungo processo: sarà come nei film di fantascienza o ne avremo piena consapevolezza?

«Sarà una trasformazione radicale, come quella biologica di cui parlavamo prima, e la paura principale è che effettivamente una percentuale enorme dell’umanità non trovi un ruolo attivo nel nuovo equilibrio delle cose. D’altra parte, è pur vero che già da molto tempo ci siamo allontanati dall’evoluzione biologica: infatti, se ho la miopia, non aspetto che questa venga corretta nell’arco di mille generazioni – cosa che comunque non avverrebbe, perché mi si manifesta in un’età in cui l’evoluzione biologica non interviene più. Intervengo per correggerla con strumenti tecnologici.»


“È estremamente importante costruire ponti di collegamento e confronto tra coloro che sono entusiasti del cambiamento
e coloro che, invece, non sono ancora pronti o non lo ritengono etico.”


Parli di super uomini? Di Cyborg? O di hackerare le potenzialità umane grazie alla tecnologia? Si dice tu abbia un chip sottopelle. Come funziona?

«Il mio chip sottopelle è un esperimento iniziale e migliorabile di interfacciamento radicale tra uomo e macchina, che può comunicare, immagazzinare informazioni, elaborare. Di fatto, è un computer che non ha bisogno di una batteria perché si alimenta nel momento stesso in cui il chip viene “interrogato”. Con il chip posso prenotare una sala riunioni in Svezia, pagare un caffè, connettermi alla stazione dei treni e alla metropolitana di Stoccolma. La prossima generazione di dispositivi sarà più avanzata e si interfaccerà direttamente con il sistema nervoso.»

Che cosa dice la gente quando gliene parli?

«La prima reazione di molte persone che vengono a conoscenza del chip sottopelle è di repulsione, come se ciò superasse i limiti della loro adattabilità. Se oggi ti presenti a un colloquio di lavoro, e sei in gamba, simpatico, hai avuto esperienze valide, e poi magari dici: “A proposito, io non so leggere e scrivere”, la probabilità che tu venga assunto è praticamente nulla. Eppure, solo cento anni fa, una parte enorme della popolazione poteva avere un valore economico pur non sapendo leggere o scrivere. Le persone si rendono conto che l’asticella si sposta sempre più in alto e si chiedono se sono in grado di assimilare le informazioni di cui hanno bisogno per far parte del sistema. Che cosa succederà quando non saranno più in grado di apprendere o, semplicemente, non saranno più disposte ad accettare il cambiamento? L’allungamento della vita media non consente più il ricambio generazionale necessario a comprendere e rielaborare correttamente le trasformazioni tecnologiche, cosa che invece sarebbe stata possibile per una generazione completamente “nuova”, dotata di un’innata capacità di adattamento al mondo circostante.»

Quindi è importante chiederci se sta diminuendo o aumentando la percentuale di popolazione che non accetta la realtà in cui vive. Cosa fare nel momento in cui il cambiamento non viene accettato?

«La realtà viene rifiutata. Tuttavia, disdegnare o etichettare come sbagliate le persone che hanno questa angoscia esistenziale è non solo un suicidio politico, ma anche segno di scarsa empatia, poiché non importa in cosa crediamo: la loro sofferenza, il loro disagio sono reali. Noi, individualmente o insieme, siamo capaci di compiere grandi cose, come anche atti distruttivi. È quindi estremamente importante costruire ponti di collegamento e confronto tra coloro che sono entusiasti del cambiamento e coloro che, invece, non sono ancora pronti o non lo ritengono etico. La società umana è fatta di punti di vista diversi e pretendere che ne prevalga solo uno non può funzionare.»