Ho tenuto un intervento presso Festival delle Idee, ospitato da Space Meetings Veneto, su spazio, robotica e intelligenza artificiale, in conversazione con Francesca Ponzecchi.
Credo che siamo all’inizio di una nuova era di esplorazione e opportunità, resa possibile da progressi tecnici straordinari che stanno abbattendo i costi di accesso allo spazio e potenziando le capacità dei satelliti e dei servizi spaziali. Aziende visionarie come SpaceX stanno riscrivendo le regole del gioco puntando su soluzioni rivoluzionarie come i razzi riutilizzabili.
Una tecnologia che sarà sicuramente protagonista del futuro sarà l’intelligenza artificiale. I progressi degli ultimi anni sono stati semplicemente sbalorditivi: oggi possiamo dialogare con sistemi come ChatGPT su qualunque argomento, ottenendo risposte sempre più pertinenti e creative. Presto l’IA sarà integrata ovunque nella nostra vita attraverso interfacce vocali, visive e robotiche sempre più naturali e potenti.
Questo porrà sfide enormi sul piano sociale, etico e filosofico. L’automazione spinta dall’IA e dai robot umanoidi trasformerà il mondo del lavoro e la nostra stessa concezione di cittadinanza e prosperità. Dovremo ripensare da zero il contratto tra individui, aziende e istituzioni.
La buona notizia è che il futuro non è predeterminato ma dipende dalle nostre scelte. Sta a noi decidere che mondo vogliamo creare con questi strumenti meravigliosi. Per questo c’è bisogno del contributo di tutti: ingegneri, imprenditori, filosofi, artisti, legislatori e cittadini. Solo insieme possiamo far sì che l’IA e le altre tecnologie emergenti siano al servizio del bene comune.
Il mio invito, specialmente ai giovani, è di non restare spettatori ma di diventare protagonisti di questa rivoluzione. Non abbiate paura di sognare in grande e di rischiare: il mondo ha bisogno della vostra creatività, della vostra passione e dei vostri valori. Abbracciamo il cambiamento con coraggio e saggezza, pronti a imparare dai fallimenti e a celebrare i successi. Il futuro inizia oggi e appartiene a chi sa immaginarlo.
Di seguito la registrazione e la trascrizione revisionata della mia conversazione alla conferenza.
Francesca: Buonasera a tutti, benvenuti a quest’ultimo appuntamento di l’Arena di Space Meetings Veneto. Grazie per essere qui a nome di Regione Veneto, Festival delle Idee, e grazie anche per aver deciso di ascoltare quest’ultimo appuntamento dove parleremo di due tematiche in particolare, intelligenza artificiale e innovazione tecnologica. Ne parliamo con David Orban.
David: Grazie. Innanzitutto sono veramente contento che nell’ultima giornata e presentazione di questa buona conferenza, siate così numerosi. Sono contento e orgoglioso. Chi di voi ha sognato o tuttora sta sognando di andare nello spazio? Questa è una conferenza che ci sta ospitando, che parla di spazio, una frontiera meravigliosa. Oggi parleremo anche un po’ di come cambia la mente delle persone.
Un’altra domanda: Chi di voi ha uno smartphone? Perfetto, tutti. Ormai nonni o bisnonne bene o male cercano di mettersi in gioco.
Chi di voi ha non solo sentito parlare, ma effettivamente provato ChatGPT? Quindi, tutti avete lo smartphone, e spero che alla fine della nostra conversazione, anche quella metà che non ha ancora provato ChatGPT vorrà farlo, un po’ come magari avete resistito prima di provare WhatsApp e adesso ce l’avete.
Francesca: Siamo a Space Meeting Veneto, un’iniziativa internazionale dedicata proprio alla space industry. Che cosa intendiamo quando parliamo di New Space? Parliamo di industria privata dello spazio,aziende che lavorano per sviluppare voli spaziali e tecnologie a basso costo. Vorrei chiedere a te, da osservatore privilegiato, le ragioni di una particolare accelerazione di iniziative dedicate all’ambito New Space.
David: Lo spazio si pensava fosse inaccessibile. Fino a cent’anni fa, se dicevi di voler andare nello spazio, eri etichettato come pazzo. C’erano Giulio Verne e altri scrittori che avevano un’immaginazione così effervescente, descrivevano astronavi in libri che oggi chiamiamo di fantascienza. Così come le stazioni spaziali che ancora non esistevano nel ’68 quando è stato girato “2001 Odissea nello Spazio”. È stato un film bellissimo, visionario, che in un certo senso ha anticipato le stazioni spaziali che abbiamo oggi.
Per molto tempo l’esplorazione spaziale e i viaggi nello spazio erano prerogativa dei governi. Oggi invece ci sono tantissime iniziative private, aziende, startup che si occupano dello spazio. Ci sono tre o quattro ragioni per questo cambiamento.
La più fondamentale è che con la fine della guerra fredda la NASA ha deciso di concentrarsi sull’esplorazione interplanetaria e la ricerca scientifica, lasciando una serie di attività, come mettere in orbita satelliti o realizzare infrastrutture di osservazione della Terra, in mano ai privati. Questo ha permesso lo sviluppo di applicazioni i cui benefici vanno agli utilizzatori e i profitti ai privati.
La seconda ragione è il miglioramento delle tecnologie alla base dei lanci, della gestione, e soprattutto dell’elettronica che costituisce il cuore dei satelliti. La miniaturizzazione elettronica ha reso possibile realizzare satelliti molto potenti anche in dimensioni ridotte.
La terza ragione è che c’è stata una naturale curva di apprendimento universale che si applica a tutte le tecnologie. Vediamo fenomeni simili di abbassamento radicale dei costi non solo nei lanci spaziali, ma anche nei pannelli solari o nelle batterie. Questi miglioramenti derivano sia da progressi tecnologici che semplicemente dalla nostra aumentata abilità di fare la stessa cosa migliaia o milioni di volte imparando sempre di più.
Francesca: Quando parli di costi più bassi, sia a livello di ingresso che di servizi, parliamo di un ordine di grandezza importante. Ad esempio, anche per i droni, a differenza dei costi dei satelliti tradizionali, parliamo di un abbassamento dei costi sconvolgente, che ci porta a considerare questo un nuovo settore in grandissima espansione.
David: Le prime missioni Shuttle costavano un miliardo di dollari ognuna. Se fate i conti, con circa 5-7 astronauti che stavano su 2 settimane, il costo per portare in orbita un chilo di massa utile era di milioni o decine di milioni di dollari.
Oggi abbiamo sistemi che possono mettere in orbita satelliti a costi inferiori di diversi ordini di grandezza. Parliamo di 1.000 o 10.000 dollari al chilo, o anche meno in prospettiva.
Però dobbiamo fare un’importante distinzione: gran parte di questa riduzione dei costi, che continua tuttora, è dovuta a una singola azienda, SpaceX. Partiti con la missione fantascientifica di colonizzare Marte, per arrivarci sapevano che serviva qualcosa di mai realizzato prima: la riutilizzabilità dei razzi.
Un po’ come quando saliamo in volo e all’atterraggio non si butta via l’aereo, era essenziale poter riutilizzare i razzi per abbattere i costi dei viaggi spaziali. Essendoci riusciti, anche se è ancora un percorso da completare, SpaceX ha ottenuto questa riduzione di costi radicale.
Se cercate online, trovate bellissimi video di questi razzi che atterrano e dopo pochi giorni vengono rilanciati. Al momento un razzo può essere riutilizzato una ventina di volte. La prossima infrastruttura di lancio, Starship, è in fase di test. Quando sentirete che il test di Starship è fallito perché è esplosa, fermatevi un attimo e ricordate quello che vi sto dicendo oggi. È normale che i primi test falliscano, perché l’unico modo per imparare a far funzionare qualcosa di nuovo è continuare a provare sapendo che andrà male finché non si trova la soluzione giusta.
Quell’ambizione ha portato SpaceX a realizzare cose in cui nessuno credeva. L’obiettivo è arrivare a lanciare 100 tonnellate per volta in orbita e rilanciare entro poche ore. Già oggi, nel primo trimestre 2024, SpaceX ha portato in orbita l’86% di tutta la massa utile, con un 12% fatto da aziende cinesi. L’Europa, tristemente, ha portato in orbita zero.
Io desidero che ci sia una ambizione europea per competere con SpaceX, e che i razzi come Ariane ed Vega vengano ripensati, non solo per avere successo ma per spingere i limiti di ciò che è possibile.
Francesca: Quali sono le innovazioni prodotte in questo mercato, nella Space Industry, che hanno portato benefici alla nostra vita quotidiana. Lo sviluppo in questo settore ha un impatto sulla gestione della quotidianità?
David: È un’obiezione frequente da parte di chi magari non conosce bene come la tecnologia abbia positivamente cambiato le nostre vite. Dicono “abbiamo tanti problemi sulla Terra, perché sprecare risorse andando nello spazio?”. Per fortuna siamo tutti liberi di seguire le nostre passioni.
Il velcro è stato inventato per applicazioni spaziali. Oggi è presente ovunque nei nostri vestiti. La tecnologia delle coperture antiaderenti è stata perfezionata per lo spazio e oggi la troviamo in tutte le case.
Il GPS che usiamo tutti per navigare è nato per scopi militari ed è stato progressivamente migliorato. Oggi abbiamo una precisione inferiore al metro grazie anche a sistemi paralleli come Galileo europeo, GLONASS russo e Beidou cinese. È appena stato annunciato un nuovo sistema di satelliti GPS con precisione di 2 cm anche al coperto.
Anche le telecomunicazioni si sono evolute grazie ai satelliti geostazionari, che all’inizio permettevano trasmissioni straordinarie come l’Eurovisione e oggi sono alla base di comunicazioni globali.
Come questi, ci sono tantissimi altri esempi di tecnologie nate per lo spazio che hanno rivoluzionato la nostra vita di tutti i giorni.
Francesca: Ritorniamo alle prospettive di mercato della space industry. Hai parlato di un alto livello di domanda da parte delle aziende. Secondo te perché queste aziende continuano a investire? Perché il mercato della space industry e della New Space ha un costante sviluppo?
David: È innegabile che se non avviene un cambio di mentalità in Europa, i talenti più appassionati che lavorano sui progetti più promettenti semplicemente andranno in America per sviluppare i loro sogni.
Ci sono due cambi di mentalità necessari. Uno è vedere l’impresa privata e il rischio che assume come qualcosa di desiderabile, che deve essere ripagato con il profitto quando, avendo affrontato le sfide ed eliminato i rischi, riesce a raccoglierlo. L’alternativa è che il tutto venga gestito con denaro pubblico, che però viaggia con ritmi molto diversi ed è soggetto a controlli e critiche tali da non riuscire a realizzare innovazioni dirompenti.
L’altro cambio di mentalità riguarda il quadro di regolamenti in Europa, che è filosoficamente all’opposto rispetto agli Stati Uniti. Lì le cose vengono fatte e provate, e al massimo ci si litiga ferocemente dopo per capire le regole. In Europa invece si tende a stabilire tutte le regole in anticipo.
Ma per le tecnologie di frontiera è impossibile sapere in partenza cosa funzionerà e cosa no. Se fosse facile, non sarebbero frontiere. Invece in Europa pretendiamo che i regolatori sappiano gestire cose di cui nessuno ha esperienza.
Un esempio concreto è il ritmo incalzante con cui SpaceX sviluppa e testa Starship. Il secondo tentativo è stato fatto “a secco”, senza usare l’acqua che di solito controlla l’espulsione dei gas roventi. Questo ha distrutto la rampa di lancio, con detriti che volavano ovunque. Un disastro voluto e prevedibile, che ha fatto infuriare le autorità di controllo. Ma dopo aver indagato, alla fine non è successo niente di grave e SpaceX ha potuto continuare i test.
In Europa, un’azienda ambiziosa come SpaceX sarebbe stata bloccata per anni da regolamenti e richieste di costruire vasche di contenimento dei lanci. Regole sensate sulla carta, ma che nella pratica impediscono l’innovazione necessaria per progredire rapidamente.
Francesca: Parliamo di startup. A Space Meeting Veneto ci sono molte startup e un’area dedicata. L’Italia ha un buon livello sia di startup, sia di investimenti in innovazione da parte di grandi aziende spaziali. Secondo te, l’approccio in cui il fallimento è considerato parte integrante del percorso imprenditoriale può essere applicato anche alle aziende tradizionali? E se sì, potrebbe essere un elemento positivo per continuare sulla strada dello sviluppo e del cambiamento?
David: In inglese la parola “entrepreneurship”, imprenditorialità, viene affiancata a “intrapreneurship”, cioè l’innovazione che parte all’interno di un’azienda. Certe persone vengono messe in grado di fare esperimenti destinati a fallire più volte prima di trovare qualcosa di utile che magari cambia le sorti dell’azienda.
Senza questo, spesso si creano anticorpi interni che attaccano chi prova strade diverse, dicendo “sappiamo già come fare le cose, non dobbiamo inventare niente di nuovo”.
Kodak per esempio ha inventato la macchina fotografica digitale. Ma quando il team che ci lavorava proponeva di investirci, venne scacciato perché l’azienda non capiva che quelle macchine primordiali potevano migliorare fino a superare la qualità delle fotocamere a rullino. Kodak è poi fallita, mentre la fotografia digitale domina il mercato.
Quindi per le aziende che non sono in grado di incoraggiare l’innovazione e proteggere internamente queste scintille di cambiamento, l’estinzione è inevitabile. Non è questione di possibilità, è una necessità.
Francesca: La think tank RethinkX stima che in 10-15 anni la produzione di robot umanoidi raggiungerà un miliardo di pezzi all’anno. Come sarà secondo te il futuro prossimo? E soprattutto, quale sarà il ruolo delle persone?
David: L’intelligenza artificiale è un sottoinsieme dell’informatica che dagli anni ’40 stuzzica la fantasia di appassionati ed esperti. Abbiamo avuto ondate di progressi e insuccessi dagli anni ’60 agli anni 2000.
Oggi l’IA sta avanzando in modo così rapido da sorprendere anche gli specialisti. Cose che si pensava sarebbero state possibili tra 20-30 anni, come avere conversazioni approfondite o creare immagini e traduzioni, oggi sono realtà.
Anche solo chiedere a ChatGPT informazioni dettagliate, come le percentuali di famiglie che investono in borsa in vari paesi, dà risultati che pochi anni fa avrebbero richiesto giorni di ricerche.
Il limite attuale dei sistemi di IA è che non sanno valutare l’accuratezza delle loro risposte. Sono così desiderosi di rispondere che a volte dicono cose sbagliate. Ma già ci sono modi per interagire con loro che li inducono a ragionare passo passo e ammettere quando non sono sicuri.
Un aspetto ancora più fondamentale è che i sistemi attuali sono scatole nere: anche per gli esperti è impossibile capire come arrivano alle loro risposte. L’Europa ha deciso che questo è inaccettabile e tra un paio d’anni entrerà in vigore una legge che obbliga i sistemi di IA a spiegare i loro processi interni. Sarà interessante vedere l’impatto sulle aziende europee.
I robot fino a pochi anni fa erano lenti, ciechi, sordi e privi di comprensione del contesto, quindi dovevano stare in gabbie per non far male alle persone. Sono i robot industriali. Ora grazie ai progressi dell’IA stanno rapidamente acquisendo capacità di visione, ascolto, comprensione e azione efficace e sicura nell’ambiente. Quindi ha senso progettarli perché possano condividere il nostro mondo, senza rappresentare un pericolo per le persone.
Ci sono video recenti impressionanti in cui un robot è in grado di prendere oggetti indicati da una persona, distinguere tra piatti e cibo, e mettere le cose dove richiesto. Sembra banale ma è una svolta enorme.
Si prevede che entro il 2025 questi robot cominceranno a essere venduti a prezzi accessibili, 20-30 mila euro, meno di un’auto. All’inizio ne verranno prodotte poche decine di migliaia, ma nel giro di 10-15 anni si arriverà a un miliardo. Pensate all’impatto non solo nelle fabbriche, ma in ambiti anche privati.
Dovremo capire come convivere in un mondo in cui potremo conversare con IA super-intelligenti su qualunque tema e in cui i robot rivoluzioneranno il concetto stesso di lavoro. La sfida non è tecnica ma filosofica ed esistenziale: trovare un nuovo contratto sociale quando il lavoro non definirà più il valore delle persone. E dovremo farlo in tempi rapidi per evitare tensioni e conflitti devastanti.
Non sono pessimista: l’umanità ha già affrontato enormi transizioni, come il passaggio dal feudalesimo all’età moderna. Non sarà facile ma sono fiducioso che troveremo un modo per far sì che questi strumenti straordinari portino prosperità e realizzazione per tutti. La chiave sarà definire un nuovo concetto di vita piena e dignitosa sganciato dall’avere un impiego.
Francesca: Secondo te c’è un limite allo sviluppo dei robot umanoidi e dell’intelligenza artificiale generale?
David: Assolutamente, ci sono alcuni sogni fantascientifici che a mio avviso non realizzeremo mai, come i viaggi più veloci della luce, perché contraddicono principi fondamentali della fisica.
Ma finché giochiamo all’interno delle leggi naturali, le cose che riusciremo a fare insieme a robot e IA saranno meravigliose. I limiti sono la nostra fantasia e la nostra saggezza nel gestire questi strumenti potentissimi.
Francesca: Grazie mille David. A questo punto lascio la parola al pubblico se ci sono domande.
Q: Volevo chiederti, con lo sviluppo così veloce di intelligenza artificiale e tecnologie come l’informatica quantistica, come pensi che cambierà ulteriormente lo scenario?
David: Un secolo fa la meccanica quantistica ha dato origine a innovazioni come l’elettronica, gli scanner medici e il GPS che usiamo oggi. Da un po’ si sta cercando di progettare computer quantistici che sfruttino fenomeni quantistici per aumentare la potenza di calcolo di milioni di volte.
Ci sono già computer quantistici specializzati per problemi specifici come l’ottimizzazione. Realizzare computer quantistici per uso generale richiederà ancora tempo perché servono condizioni estreme, ma ci stiamo lavorando ingegneristicamente e i progressi sono costanti.
Quando avremo computer quantistici potenti e flessibili, il loro impatto si sommerà in modo esponenziale a quello dell’intelligenza artificiale, permettendoci di risolvere problemi finora intrattabili. Sarà un’altra rivoluzione.
Però dobbiamo anche considerare i limiti fisici. L’energia è un fattore fondamentale: con le attuali fonti fossili la nostra crescita è limitata, sia dalla disponibilità che dall’impatto ambientale. Abbiamo alternative virtualmente illimitate come il solare e la fusione nucleare che in prospettiva potranno sostenere una civiltà che abita l’intero sistema solare.
Per viaggi interstellari servirà un altro salto: la capacità di produrre e gestire antimateria in quantità significative.
Q: Vorrei fare una considerazione sulle implicazioni etiche e sociali dell’intelligenza artificiale. Mi preoccupa che i suoi output vengano presi per veri senza verificarne l’attendibilità con il rischio di diffondere disinformazione. Qual è la tua opinione su questo tema? Quali regole etiche dovremmo darci?
David: L’entusiasmo dell’IA spesso la porta a un’eccessiva fiducia nelle sue risposte senza fermarsi a ragionare. Come dicevamo prima, ci sono modi per interagire con i sistemi attuali che li portano a valutare meglio ciò che dicono, ad esempio chiedendogli di verificare passo passo i ragionamenti. Dobbiamo imparare a fare domande intelligenti per ottenere risultati affidabili.
Più in generale, la qualità dei dati con cui le IA vengono addestrate è una grande questione aperta. Di nuovo, Stati Uniti ed Europa hanno approcci diversi: il fair use permette di usare molti dati senza chiedere permesso oltreoceano, qui è più limitato quindi ci saranno battaglie legali.
Personalmente credo che la diffusione di informazioni false prodotte da IA debba essere trattata come qualunque altra disinformazione: la responsabilità principale è di chi la diffonde, non dello strumento. Non servono leggi speciali, la diffamazione ad esempio è già un reato.
Più che di regole, abbiamo bisogno di un solido quadro etico-filosofico per orientarci in questa transizione. Nei momenti di grande cambiamento spesso si perde il senso di scopo e dignità del proprio ruolo sociale. Dobbiamo costruire una società in cui tutti possano coltivare i propri talenti e passioni al di là dell’occupazione. Sarà una sfida enorme ma anche una grande opportunità di progresso.
Q: Vorrei sollevare la questione degli impatti geopolitici dell’intelligenza artificiale. Il suo sviluppo sembra concentrato in paesi già ricchi e tecnologicamente avanzati come Stati Uniti e Cina. Come possiamo evitare che questo acuisca le disuguaglianze con paesi meno sviluppati? C’è il rischio di uno scenario in cui pochi paesi o aziende controllano una tecnologia così potente?
David: È un tema centrale e la storia ci insegna a non dare per scontato che la tecnologia vada sempre a beneficio dei più deboli. Però vorrei condividere alcune riflessioni in controtendenza.
Prima di tutto, non sottovalutiamo la capacità di innovazione e adozione tecnologica dei paesi emergenti. Trent’anni fa si pensava che in Africa non ci sarebbero mai stati abbastanza cavi di rame per portare la telefonia. Oggi il livello di utilizzo di smartphone e servizi digitali in paesi come il Kenya supera sotto molti aspetti quello europeo.
L’IA potrebbe accelerare questo processo, pensiamo alla possibilità di avere accesso istantaneo nella propria lingua a conoscenze mediche, tecniche o imprenditoriali finora limitate dalla barriera linguistica. Oppure all’utilizzo dell’IA per ottimizzare l’agricoltura o la logistica nei contesti più difficili.
Ovviamente questo non cancella il problema del controllo della tecnologia, che è reale. Ma vorrei suggerire che più che a uno scenario in cui l’IA è nelle mani di pochi, stiamo andando verso un mondo in cui esperti di IA saranno richiesti ovunque. Già oggi è il lavoro più ambito e ne servono molti di più di quanti ne produciamo.
Francesca: Grazie David per la tua generosità intellettuale e la passione con cui comunichi questi temi. Credo di parlare a nome di tutti ringraziandoti per gli stimoli che ci hai offerto oggi. Grazie ancora a tutti i partecipanti e agli organizzatori del Festival delle Idee. Continuiamo la conversazione e buona serata!